Edwy Plenel: «Mediapart è la rivoluzione democratica del giornalismo online»

Un’intervista con il presidente e cofondatore di «Mediapart». La diffusione virale di un giornale online specialista in inchieste: “Il digitale è portatore di un nuovo immaginario e ha bisogno di una democrazia più orizzontale che non sia più posseduta dai professionisti della politica e sia allo stesso tempo deliberativa e partecipativa, una democrazia restituita ai cittadini”

Giornalista tra i più discussi e conosciuti in Francia oggi Edwy Plenel è presidente e cofondatore di Mediapart, il giornale di inchieste online che ha pubblicato scoop clamorosi che hanno colpito a destra (il caso Woerth-Bettencourt che ha riguardato Sarkozy o i fondi neri di Gheddafi alla campagna presidenziale di quest’ultimo nel 2007) e a sinistra (l’affaire Cahuzac, l’ex ministro socialista del bilancio, costretto alle dimissioni per detenzione di fondi neri). Insieme al direttore di Jacobin, Mag Bhaskar Sunkara, Plenel sarà al teatro comunale di Ferrara domani alle 16,30 per il festival di giornalismo di Internazionale.

Plenel, siete, o aspirate ad essere, un contro-potere. E il potere non vi sta facendo sconti. Avete dovuto pagare l’Iva retroattiva sugli abbonamenti: 2,4 milioni di euro. La vostra libertà è a rischio?
No. Certamente è stato un duro colpo che ha rallentato la costruzione durevole e solida della nostra indipendenza finanziaria. Eravamo pienamente consapevoli dei rischi quando abbiamo iniziato questa battaglia pionieristica sulla neutralità della rete e l’uguaglianza tra la carta stampata e quella digitale. La redditività strutturale di Mediapart ci ha permesso di affrontare questo brutto colpo. Nel frattempo abbiamo presentato tutti i ricorsi possibili sia alla giustizia amministrativa francese che alla corte di giustizia dell’Unione Europea.

A otto anni dalla nascita, il vostro modello finanziario basato sugli abbonamenti è ancora sostenibile?
Mediapart è una specie di laboratorio del giornalismo all’epoca della rivoluzione digitale che ha messo in crisi la stampa tradizionale. Abbiamo cercato di verificare alcune ipotesi : che si poteva avere successo non facendo altro che giornalismo, che Internet non significa solo intrattenimento, che il pubblico accetta di difendere con noi il valore dell’informazione, la sua qualità e la sua indipendenza. E funziona! Mediapart è in attivo dal 2011. Quest’anno realizzeremo un fatturato di almeno 11 milioni di euro, 1,8 milioni di utili netti. All’inizio eravamo 25, oggi siamo 75 dipendenti. Abbiamo 122 mila abbonati individuali paganti e abbiamo superato i 3,5 milioni di visitatori unici. Il modello del sito a pagamento non è un muro insuperabile, lo abbiamo associato al «club participatif» ad accesso libero come tutti i nostri eventi «live», filmati in diretta. La crescita è continua, costante e quotidiana.

Laurent Mauduit di Mediapart ha scritto nel suo ultimo libro che un pugno di miliardari controlla la quasi totalità della stampa dei media francesi. Crede che i giornali web siano l’alternativa alla “crisi morale” dei media? Non correte il rischio di essere comprati da questi oligopolisti?
Sin dall’inizio la nostra battaglia è stata, da un lato, di riprendere il testimone dell’indipendenza che le crisi di Le Monde e di Liberation hanno fatto cadere. Mediapart non è in vendita e i quattro fondatori sono decisi a trasferire il controllo del giornale alla redazione, a coloro che lo fanno quotidianamente. Il successo di Mediapart attesta la profonda crisi democratica in Francia, un paese con una democrazia a bassa intensità sotto l’apparenza ingannevole della stabilità garantito dal nostro sistema presidenzialista, unica monarchia elettiva europea dove la volontà di tutto è sostituita dalle scelte di uno solo. La democrazia non è altro che il diritto di voto, mentre invece è un ecosistema che presuppone in particolare una stampa libera, indipendente e pluralista.

Molti oligopoli francesi percepiscono gli aiuti pubblici dallo Stato. È accettabile questa situazione?
Gli aiuti pubblici diretti ai media controllati da oligarchi ricchissimi sono evidentemente inaccettabili. Così come l’assenza di misure per combattere i conflitti di interessi nel controllo di questi stessi media. Bisogna azzerare tutto e ripensare tutto in maniera innovatrice considerando che ormai non siamo solo noi professionisti ad esprimere online opinioni e a produrre informazioni. Noi sosteniamo la necessità di una nuova legge fondativa della libertà di informazione al tempo del digitale. Ci siamo ispirati a un’altra legge francese del 1881 sulla libertà della stampa che, all’epoca, rappresentò un modello mondiale di liberalismo progressista e democratico. La rivoluzione digitale in corso ha bisogno di una rivoluzione democratica. Il digitale è portatore di un nuovo immaginario e ha bisogno di una democrazia più orizzontale che non sia più posseduta dai professionisti della politica e sia allo stesso tempo deliberativa e partecipativa, una democrazia restituita ai cittadini.

Quando Patrick Drahi ha acquistato Liberation la redazione fece un titolo di prima pagina di protesta: «Siamo un giornale, non un ristorante, o una start up». Ma che cosa diventerà il quotidiano tra dieci anni?
Noi abbiamo capito che il giornalismo oggi deve ricreare la fiducia del pubblico accettando le critiche, accettando le discussioni. Il virtuale oggi è il reale: una pratica democratica concreta, una nuova alleanza tra professionisti produttori di informazione e cittadini che amano le informazioni, una battaglia comune per difendere il diritto di sapere senza il quale non esiste democrazia vivente e autentica. Se non conosco quello che è l’interesse pubblico, posso votare alla cieca, per il mio peggiore nemico o per la mia infelicità. Dobbiamo difendere il meglio della nostra tradizione professionale nel cuore della rivoluzione digitale: un giornalismo rigoroso e audace che impone la propria agenda attraverso le informazioni e che non sposa mai la comunicazione dei potentati sia quelli politiche che quelli economici. Dobbiamo dimostrare che questo è sempre giornalismo, e che possiamo praticarlo meglio grazie ai dispositivi tecnologici fondati sui link e i multimedia che permettono un giornalismo più approfondito, più vario, più durevole, più documentato, in fondo più ricco.

L’Independent ha chiuso l’edizione cartacea. Si ripete sempre che i giornali saranno sostituiti dal web, i pochi superstiti saranno pubblicati da Amazon come il Washington post, e i giornalisti saranno sostituiti dagli algoritmi. Crede anche lei a questo futuro senza indipendenza e tutto automatizzato?

Mediapart è la risposta alla sua domanda: siamo giornalisti arrivati dalla carta stampata, io da Le Monde, che nel 2007 si sono convertiti al digitale per difendere gli ideali e i principi tradizionali di un mestiere che è il cuore della democrazia. Ovviamente non credo a un giornalismo senza giornalisti, cioè alla sua corruzione attraverso l’intrattenimento, l’informazione 24 ore su 24 e il chiacchiericcio delle opinioni. Anche per questo abbiamo scelto da subito il modello a pagamento: rende concreta l’alleanza tra i giornalisti e il pubblico sul valore di una giornalismo libero e indipendente. Mediapart vive solo degli abbonamenti e rifiuta sia le sovvenzioni che la pubblicità. Solo i nostri lettori ci possono comprare.

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