Braccia tese contro il 25 aprile e per ricordare il duce. A Milano pronte le denunce della Prefettura
MILANO. È un’onda nera, quella che nell’anniversario della morte di Mussolini ha allungato un’ombra sull’Italia. Sempre di più. Da Milano, dove la prefetta promette denunce e dove le mille braccia tese in un saluto romano collettivo dei militanti di Lealtà Azione e CasaPound davanti alle tombe dei repubblichini al Campo 10 del cimitero Maggiore hanno assunto anche il sapore amaro della provocazione diretta alle istituzioni che il 25 Aprile avevano vietato quella stessa manifestazione. A Cremona, dove altri “no” sono stati aggirati e altre braccia si sono alzate per commemorare il segretario del partito fascista Roberto Farinacci, tra bandiere della Repubblica di Salò e le note di “Giovinezza”. Da Dongo, nel Comasco, dove il duce fu catturato, e dove solo l’intervento delle forze dell’ordine ha evitato che i nostalgici con corone d’alloro e fiori per i gerarchi fucilati si scontrassero con l’Associazione locale dei partigiani.
Eccola, la geografia nera di un Paese che sembra non riuscire ad archiviare il passato. Una mappa che ha toccato anche Roma con lo striscione appeso da Forza Nuova al Colosseo per gridare “Viva il Duce”. E Vicenza, con il necrologio con tanto di foto di Mussolini apparso per annunciare una manifestazione e un rosario da far recitare a un sacerdote espulso dalla Chiesa per aver negato l’esistenza delle camere a gas naziste. Troppi sfregi. Tanto che la presidente della Camera Laura Boldrini invita il Parlamento a procedere sulla legge in discussione per contrastare con più incisività la propaganda neofascista. «Lo Stato non si faccia deridere dai nostalgici — ha detto — Le manifestazioni fasciste in Italia non possono essere consentite: né il 25 Aprile, né in qualsiasi altro giorno dell’anno. I raduni con tanto di saluti romani di Milano e Cremona rappresentano un affronto alla democrazia nata dalla Resistenza». Anche il presidente milanese dell’Anpi, Roberto Cenati, denuncia «un aumento di rigurgiti fascisti in aperto contrasto con i principi della Costituzione e delle leggi Scelba e Mancino. Il quadro è preoccupante ed è inaccettabile che a 72 anni dalla Liberazione si ripresentino questi oltraggi».
A Milano, dove la tensione si respira da giorni, i mille neofascisti del saluto romano sono stati il triplo dei 300 che avevano messo in scena lo stesso rito un anno fa. Perché quello del cimitero Maggiore è un film che si ripete da tempo. E che, questo 25 Aprile, il sindaco Beppe Sala e la prefetta Luciana Lamorgese hanno cercato di fermare. Il blitz è avvenuto, con quattro giorni di ritardo, incrociandosi con un un’altra data simbolo dell’estrema destra: il ricordo di Sergio Ramelli, il militante del Fronte della Gioventù morto negli anni Settanta dopo un’aggressione da parte di esponenti di Avanguardia Operaia, del repubblichino Carlo Borsani, del consigliere provinciale missino Carlo Pedenovi. Proprio Sala aveva tentato un gesto di «pacificazione », presentandosi alla cerimonia di commemorazione di Ramelli e Pedenovi e deponendo una corona di fiori. Ma di fronte alla parata nera del Campo 10, ha pronunciato parole nette. Perché un conto, ha detto, è la «memoria », un altro «l’apologia di fascismo ». Per questo, adesso, il sindaco invoca denunce delle «autorità competenti». Ma anche «una ferma condanna da parte di tutte le forze politiche. Milano non merita queste offese». Le prime, ha annunciato la prefetta, arriveranno. Anche perché, ha spiegato Lamorgese, quella al cimitero Maggiore è stata «una manifestazione clandestina». La questura sta indagando per identificare chi ha fatto il saluto romano e un fascicolo sarà consegnato «già domani» al procuratore aggiunto Alberto Nobili.
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