Mujica. «El Pepe», la militanza continua

Venezia 75. L’ex presidente dell’Uruguay raccontato nel documentario di Emir Kusturica «El Pepe, una vida suprema» (fuori concorso) e nel film di Alvaro Brechner «La noche de 12 años» (Orizzonti)

VENEZIA. «Non sapevo nulla dell’Uruguay – dice Kusturica, qualcuno mi ha detto c’è il presidente che sta guidando il trattore. Mi sono detto: devo conoscerlo». La presenza di Pepe Mujica sul Lido è stato uno degli eventi più emozionanti della manifestazione: due sono stati i film in programma accolti dal pubblico con grande commozione, che raccontano il suo presente e il suo tragico passato di detenuto politico e delineano la sua imponente figura di politico coerente nelle parole e nello stile di vita. Emir Kusturica firma il documentario El Pepe, una vida suprema (fuori concorso), dove ha potuto cogliere precisamente il giorno in cui Mujica il 1 marzo del 2015 ha rimesso il mandato di presidente dell’Uruguay che aveva ricoperto dal 2010, dopo aver ridotto la soglia di povertà del paese dal 25% al 9%, una vittoria che si deve anche alle sue iniziative personali, dedicando il 70% del suo stipendio ai poveri.
Una gigantesca folla lo attende in strada in un abbraccio collettivo, 150 mila persone che applaudono e piangono. «No me voy – risponde lui, stoy llegando»: non vado via, sto arrivando, a significare che la militanza continua. Una militanza che non è mai stata persa, tutto sta a dimostrarlo. Kusturica ascolta in silenzio il racconto di Pepe, nella campagna che circonda la sua casa e che lui cura personalmente alla guida del vecchio trattore, spostandosi anche con la Wolkswagen celestina dell’87, accanto alla moglie, una militante di lunga data anche lei, la senatrice Lucia Topolansky conosciuta alla fine degli anni Sessanta.

Kusturica il rude regista esperto in sarabande zingaresche fuma il sigaro in silenzio, assaggia l’amarezza del «mate» e lo ascolta raccontare in pochi cenni l’estrema solitudine di quei 13 anni vissuti in isolamento in tutte le carceri del paese insieme ai suoi compagni: senza quell’esperienza, dice, sarei stato più frivolo, più ambizioso, più vanesio, ebbro di successo. Invece ha scelto la povertà («non sono povero, semplicemente il denaro non mi serve, posso fare a meno di tante cose inutili»). Accompagna il regista in un grande magazzino, il mall Punta Carretas: proprio nel corridoio centrale dove ora si affacciano i negozi gli dice, c’era il corridoio centrale del carcere.

La gente gli si fa intorno in un grande abbraccio. Insieme agli altri capi della guerriglia urbana che compiva gli espropri proletari (il sistema bancario, dice, «è il grado più alto di delinquenza umana che fa lavorare il denaro degli altri senza lavorare») dal carcere di Punta Carretas evase clamorosamente una prima volta con altri 106 compagni, ma nel ’72 fu tenuto come ostaggio per più di un decennio. Impossibile resistere alla forza della sua oratoria sincera, ne furono conquistati i delegati dell’Onu e perfino Obama.

Una scena da «La noche de 12 años» di Alvaro Brechner

Tra le sequenze di Stato d’assedio di Costa Gavras, per non dimenticare che le dittature in latinoamerica furono originate dal Plan Condor pilotato dagli Usa, racconta e accompagna Kusturica a visitare le piante che coltiva. Con lui ci sono i vecchi compagni di lotta del Movimiento de liberacion Nacional, i Tupamaros Neto (Eleuterio Huidobro) diventato ministro della difesa e Ruso, il poeta e scrittore Mauricio Rosencrof . Pepe, Neto e Ruso sono i tre protagonisti di La noche de 12 años di Alvaro Brechner (Orizzonti) tutte le caratteristiche del genere carcerario sviluppato in un crescendo di grande umanità lungo anni di isolamento, scene riempite con grande abilità, dove l’insegnamento principale è la necessità della resistenza a tutti i costi: sentire parlare i reali protagonisti della vicenda (Huidobro è scomparso da poco) nel doc di Kusturica, rende l’opera ancora più emozionante.

È un film nato da anni di investigazioni e testimonianze, un lavoro sulla memoria che denuncia la detenzione in violazione di ogni diritto umano, di un fatto molto poco conosciuto in un paese dove ancora non si sono fatti i conti con il passato. Pepe Mujica non parla dell’epoca della detenzione, pensa che siano ferite profonde da rispettare, ma non si tira indietro quando deve commentare situazioni politiche come chi gli chiede una soluzione per il Venezuela: «Non so proprio cosa si possa fare, dice, ma ho fiducia nei popoli. A volte i popoli hanno bisogno di aiuto, ma ci sono aiuti che è meglio non avere, il Venezuela saprà uscirne da solo. Noi in America Latina non abbiamo bisogno di sostegno, altri paesi nel mondo ne hanno bisogno. I ricchi del mondo devono capire che esiste il concetto di responsabilità e che i poveri non sono dell’Africa ma dell’umanità».

* Fonte: Silvana Silvestri, IL MANIFESTO

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