La strage fascista del Narodni Dom, il ricordo di Trieste dopo 99 anni

Il rogo fascista. Sala stracolma per la cerimonia. Lo storico Raoul Pupo: «Risentir parlare di confini da blindare non può che suscitare un brivido lungo la schiena»

Centinaia di persone si sono ritrovate ieri al Narodni Dom per ricordare, 99 anni dopo, il rogo fascista che semidistrusse la “casa” degli sloveni, croati e cechi di Trieste che nel grande edificio avevano le loro associazioni, biblioteche, il teatro, la banca… Così tanta gente che la grande aula magna non riusciva a contenerla tutta e tanta ne è rimasta fuori, sulla strada. E’ intervenuto anche il Presidente della Repubblica di Slovenia, che prima di entrare al Narodni Dom ha incontrato, a porte chiuse, il presidente della Regione, il leghista Massimiliano Fedriga, per poi dichiarare: «Abbiamo parlato molto apertamente del fatto che due paesi vicini, entrambi aderenti a Schengen, non debbano adottare misure per rafforzare ulteriormente il pattugliamento del confine oltre a quelle già adottate». E dire che solo venerdì sera Matteo Salvini aveva parlato di «barriere di protezione fisica» per non far entrare «laqualunque». Lo ha detto a Verona, però, non la settimana scorsa a Trieste.

Lo storico Raoul Pupo, al Narodni Dom, ha sottolineato tra gli applausi che «risentir parlare di confini da blindare non può che suscitare un brivido lungo la schiena». Pupo ha richiamato l’amara esperienza che seguì l’incursione delle bande nazionaliste antislave di quel 13 luglio 1920. «In questa terra di frontiera, l’incendio del Narodni Dom è un simbolo dai molti significati. La grande semplificazione che ha distrutto la ricchezza plurale dell’Europa centrale ha colpito duramente anche lungo la frontiera adriatica, e l’evento luttuoso del 1920 è uno dei punti di saldatura fra i drammi locali e la storia sbagliata del XX secolo. Per gli sloveni e i croati l’incendio del Narodni Dom ha rappresentato l’inizio di una stagione di oppressione e persecuzione, fra le più dure nell’Europa degli anni ’20 e ’30 a danno di minoranze nazionali. Per tutti gli abitanti della frontiera, è stato l’incrocio di un rimpallo di violenze fra le due sponde adriatiche dopo la grande guerra».

Un intervento, quello di Pupo, continuamente interrotto dagli applausi e concluso così: «Siamo qui tutti insieme perché siamo antifascisti. Purtroppo non è un anacronismo, come dirsi guelfi o ghibellini» e «c’è ancora bisogno di rammentare che lo stato in cui viviamo non è neutrale, perché è nato dalla lotta contro il nazifascismo». Ovazione.

Intanto il gruppo di Resistenza Storica che ha lanciato l’appello contro il monumento a D’Annunzio (@noadannunzioatrieste) continua a ricevere adesioni. In pochi giorni sono diventate migliaia. E la risposta del sindaco di Rijeka (Fiume) alle iniziative revansciste della destra di governo triestina è stata fulminante. Una statua per ricordare D’Annunzio nella sua impresa fiumana? «Atto vergognoso e pericoloso». Non ha usato mezzi termini, Vojco Obersnel: «Gabriele D’Annunzio fu precursore del fascismo e di ispirazione a Mussolini… D’Annunzio non fu un poeta timido, come tanti lo vogliono presentare, ma un aggressore e un tiranno. Se il monumento che si dovesse collocare a Trieste è dedicato all’occupazione di Fiume, cioè se l’idea è glorificare questo evento, è una cosa vergognosa ma anche pericolosa. Soprattutto – prosegue il sindaco – nel contesto delle dichiarazioni di alcuni esponenti politici italiani che pretendono la costa croata. La costa croata e Fiume sono croate, difese e liberate dai partigiani, proprio come è stata liberata Trieste. I monumenti a D’Annunzio, i festeggiamenti e il populismo politico che cede alle passioni più abiette non lo cambieranno».

* Fonte: Marinella Salvi, IL MANIFESTO

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