Milano, alla polizia non piace il 25 aprile

Diario di confino. I poliziotti non gradiscono la celebrazione del 25 aprile di un gruppo di ragazzi in via Padova a Milano

A qualcuno non va proprio giù che la gente abbia voglia di festeggiare il 25 Aprile, nemmeno a distanza. Ieri mattina, nei dintorni di via Padova e via Democrito a Milano, un piccolo gruppo di ragazzi, meno di dieci, di un centro sociale percorre una strada in bicicletta, mezzo che persino un bambino sa che non permette di stare appiccicati sennò si cade. I giovani indossano mascherine, guanti, portano qualche bandiera rossa e stanno andando a mettere fiori sulle lapidi del quartiere che ricordano i partigiani caduti. Improvvisamente da una via laterale sbucano poliziotti che in pochi minuti bloccano con alcune auto la strada e i ragazzi che protestano dicendo: «Non abbiamo fatto niente di male. Stiamo andando a ricordare i partigiani». I poliziotti non gradiscono, buttano le biciclette sull’asfalto, trascinano alcuni giovani per la strada, altri li sbatacchiano sulle auto o li bloccano a forza al suolo, una ragazza che grida «Ma cosa state facendo?» si prende un manrovescio che la butta per terra. La gente si affaccia, filma, qualcuno scende in strada, si mette a cantre Bella ciao, gli strattonamenti continuano finché i ribelli sono chiusi in un angolo. I video sono stati pubblicati da Milanotoday.it che, sentita la questura, riporta la loro versione che parla di «semplici controlli per i decreti sul coronavirus».

Ah, questo coronavirus viene davvero buono per un sacco di cose, tipo permettere di valutare la distanza inter personale con due pesi e due misure a seconda dell’estro: è ammessa se si sta fermi e ligi quando si è in coda al supermercato o alla farmacia, diventa sovversiva e sospetta se si va in bicicletta il 25 Aprile. Nel corpo a corpo ingaggiato dai poliziotti, che indossavano la regolare mascherina, è stato messo in atto un tale pigia pigia che, se qualcuno avesse il virus, lo ha di sicuro spalmato attorno. Tenere le mani a posto e lasciar pedalare quei ragazzi non sarebbe stata una cattiva idea, anche perché stavano solo andando a ricordare chi, morendo, ha garantito la libertà di espressione, ma non di botte, anche a quelli che indossano la divisa.

* Fonte: Mariangela Mianiti, il manifesto

*************

Fobocrazia e manganelli selvaggi

Habemus Corpus. Che Paese è quello in cui, mentre si canta Bella ciao dai balconi, alcuni esponenti delle forze dell’ordine scaricano in una strada di periferia la smania di disciplina su ragazzi in bicicletta armati solo di fiori?

«Manganelli agitati minacciosi nell’aria, gambe divaricate pronte all’attacco, guanti neri, violenza e botte nel 25 aprile della polizia a Milano». Inizia così, come una sequenza cinematografica, la lettera inviataci da Luca, milanese e lettore de il manifesto che ha voluto mandarci alcune riflessioni su quanto accaduto sabato scorso a Milano fra viale Padova e via Democrito, dove alcune volanti della polizia hanno chiuso una strada per bloccare pochissimi giovani che, in bicicletta e mascherina, andavano a deporre fiori sulle lapidi del quartiere dedicate ai partigiani morti.

CON LA SCUSA che si trattava di «Semplici controlli per i decreti sul Coronavirus», i poliziotti hanno cominciato a menare le mani, pesantemente, come se quei ragazzi fossero un pericolo per la salute pubblica, dei virus loro stessi.
E lo hanno fatto «In strada – continua Luca – sotto gli occhi di persone alla finestra, come un’esibizione di pedagogica rilevanza. La storia non dice che proprio quei cittadini hanno lavorato molto nei giorni scorsi, per fare quello che le istituzioni non fanno abbastanza: aiutare chi ha bisogno. Giorni a fare spesa, in bici, a piedi, su e giù, su e giù. Solidarietà, soccorso ai deboli, i soli di sempre, perché intorno hai cose più ricche e importanti cui badare, come vogliono Confindustria, Sala, il governo e Fontana. Se ne vanno in via Padova per mettere un fiore, innocuo, gentile, primaverile e rosso fiore, sotto il nome scolpito di qualcuno che, prima e come loro, viveva nel dovere di credere a un mondo diverso da quello dei potenti. Mascherine e distanze, e sai che insubordinazione. Ora si andrà strada per strada a cercare e disciplinare chi sfugge al controllo? Sarà il manganello a spiegare gli ultimi com del nuovo decreto?».

CHE PAESE è questo? Che città è quella in cui, mentre si canta Bella ciao dai balconi, alcuni esponenti delle forze dell’ordine scaricano in una strada di periferia la smania di disciplina su ragazzi in bicicletta armati solo di fiori? E il 25 aprile per di più? Luca scrive: «È uno Stato che mostra così, se ce ne fosse ancora bisogno dopo Genova 2001 e la vicenda di Stefano Cucchi, la propria natura autoritaria, violenta e ostile alla libertà».
Qualcuno dirà che ci sono decreti da far rispettare, regole imposte per il bene comune e a cui la maggior parte dei cittadini obbedisce. Allora vuol dire che quei decreti potevano essere disattesi quando quei ragazzi assistevano persone bisognose, mentre sono diventati inappellabili nel momento in cui hanno voluto ricordare i partigiani caduti? Significa che andiamo bene per assistere chi è in difficoltà, ma non andiamo più bene se vogliamo uscire di casa per esprimere un’idea?
Sta in questa discrezionalità interpretativa il vulnus di quanto accaduto a Milano e il pericolo che riguarda il futuro di tutti quanti. D’accordo l’attenzione alla salute, ma stiamo attenti che questa attenzione non diventi smania di repressione perché la repressione puzza sempre di fascismo.
Concludo con un’esortazione di Luca: «Tocca a tutti noi, adesso, rispondere per dire qual è il nostro destino, se vogliamo libertà o un’autonomia condizionata dalla fobocrazia utile per gli interessi di pochi. Il controllo totale, ora anche biologico, imposto alle nostre esistenze dai comitati: di esperti, di manager, di sanitari. Come gli internati nelle istituzioni totali, possiamo ancora scegliere: lasciarci disciplinare rinunciando alla nostra identità di singoli per aderire al coerente programma previsto per noi, oppure tentare la via della resistenza, del no».

* Fonte: Mariangela Mianiti, il manifesto, 28 aprile 2020

You may also like

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password