Neruda Quei baci non dati

“Con te le mie labbra impararono a conoscere il fuoco”. Escono alcuni versi scritti dal grande poeta cileno Pablo Neruda finora mai pubblicati

DUE O TRE GIORNI PRIMA DI MORIRE, Pablo Neruda scrisse la sua ultima poesia, la più violenta invettiva che un poeta famosissimo e premio Nobel abbia mai lanciato contro qualcuno, a pochi giorni dal golpe di stato di Pinochet del ‘73, quando gli aerei avevano bombardato la Moneda e i militari avevano trucidato il presidente Allende facendo passare la sua morte per un suicidio. La poesia di Neruda diceva: “ Nixon, Frei e Pinochet / fino a oggi, fino a questo amaro / mese di settembre / dell’anno 1973, con Bordaberry, Garrastuzu e Banzer, / iene voraci (…) satrapi mille volte venduti / e traditori, eccitati / dai lupi di New York, macchine affamate di sofferenze, macchiate dal sacrificio / dai loro popoli martirizzati, mercanti prostitute / del pane e dell’aria d’America / fogne, boia, branco / di cacicchi di lupanare, senza altra legge che la tortura / e la fame frustrata del popolo ”.
I funerali del poeta furono il primo atto di resistenza al nuovo regime. È una scena che ho raccontato più volte e che non voglio ripetere. Nessuno in quel momento pensò che Pablo Neruda fosse stato assassinato all’ospedale di Santiago, dove era ricoverato, con una iniezione letale. Era malato di cancro e sarebbe morto comunque dopo pochi mesi. Ma quando sono andato a rileggere i dettagli e le cause della morte di García Lorca, suo grande amico, nella bellissima biografia di Ian Gibson, mi sono accorto di un parallelo inquietante. Lorca venne portato pochi chilometri fuori Granada e ucciso come un cane in una fossa con altri prigionieri, non perché fosse un uomo di sinistra o un omosessuale, come si diceva all’epoca (il probabile autore materiale del delitto, Juan Luis Trescastro de Medina, si vantava di avergli sparato due colpi nella parte bassa della schiena perché era un “ maricon ”). A ucciderlo non furono gli uomini della falange, ma i cattolici reazionari che non gli avevano mai perdonato un articolo, comparso sul principale giornale di Granada, in cui il poeta definiva la borghesia della città la più vile d’Europa. Non era una cosa che gli alleati dei franchisti potevano tollerare.
Pablo Neruda, tra quelli considerati grandi poeti, è stato il più popolare di tutti anche fuori dal suo paese. Persino le persone non proprio acculturate, se gli si chiede di fare il nome di un poeta diranno Neruda. I giovani sotto i vent’anni imparavano le sue poesie a memoria perché erano facili da memorizzare, possedevano un bel ritmo e sussurrate alle orecchie delle ragazze promettevano un risultato sicuro. Certi suoi versi assomigliano ai “ piropos ”, quei complimenti a cascata mormorati per rintontonire le ragazze con le metafore più stravaganti e le immagini più fantasiose. Questi versi sono stati definiti barocchi, un termine passpartout, o meglio un luogo comune, adoperato dai critici anglosassoni con una sottolineatura di disprezzo per indicare tutto quello che è ispanico e decadente.
Ma Pablo è stato anche un autore molto alterno, che cambiava continuamente temi e modi di scrittura. Altri versi sono molto più leggeri, di genere surreale, e danno alla composizione sensuale e carnale una eleganza e una elasticità straordinarie: “ Vicino/ alla tua piccola orecchia/ o sulla fronte/ mi chino, m’inchiodo/
il naso tra i capelli (…) e la tua bocca di schiuma/ in tutto lasciò/ la mia mano/odore d’inchiostro e di selva ”.
Un suono simile lo ritroviamo in quelle, finora inedite, pubblicate in queste pagine e sfuggite alla revisione di Matilde Urrutia, sua moglie.
Ma in altre composizioni si passa esattamente al lato opposto, quello della contemplazione della morte e della fine imminente. Nel ’35, quando andò per la prima volta in Spagna invitato dalla facoltà di Lettere di Madrid, venne presentato da García Lorca con queste parole: «Pablo è più vicino alla morte che alla filosofia, più vicino al dolore che all’intelligenza, più vicino al sangue che all’inchiostro». È vero. Neruda aveva un lungo sguardo che si appuntava su tutto quello che era condannato, una profonda attitudine a contemplare tutto nel versante dell’addio, come diceva Theodor Adorno parlando delle sinfonie di Mahaler.
Era nato a Temuco, un paesetto del Sud del Cile, nascosto in quelle vallate che scendono verso il tratto di mare più pescoso del mondo, percorso dalla corrente gelida di Humbold. Eranno territori che appartenevano agli araucani, grande popolo guerriero, gli unici indios che furono capaci di fermare i “ tercios ” spagnoli guidati dal conquistadores Valdivia e di sconfiggerli. In questo posto dove piove sempre, non c’era molto da fare e si poteva anche morire di noia. Ma il giovane Neruda passava molto del suo tempo a scrivere versi, incantato dal rumore che facevano le gocce sui tetti di lamiera ondulata. Un’impressione simile l’ha avuta un altro artista, famoso almeno quanto Neruda, della stessa epoca. Si chiamava Cole Porter, era un grande compositore. La sua più famosa canzone, Night and day , fa sentire il ticchettìo delle gocce di pioggia.
Pablo adorava il suo paese che una storica inglese ha definito il paese sottile, con una costa battuta da onde immani che provenivano dall’altra parte del globo e avevano attraversato l’oceano Pacifico per diecimila chilometri senza trovare ostacoli. Le poesie dedicate all’oceano sono tra le più belle che abbia mai scritto e quando era giovane diceva sempre di volere una casa di fronte al mare. Se ne costruì una disegnata come una barca, in cima alle dune, in modo da dare l’impressione di essere stata trascinata lì dalle onde come naufragata. Il posto si chiamava Isla Negra e molti credono che sia un’isola mentre è una baia a sud di Valparaíso. Quando ci sono andato, nel settembre 1973, la casa era stata devastata dai poliziotti di Pinochet e derubata delle meravigliose collezioni di conchiglie e di polene. Il governo di Santiago si rese conto dell’errore commesso quando sui giornali apparve la frase, diventata poi celebre e dettata dallo stesso Neruda proprio per impedire la devastazione, “Qui avete come nemico solo la poesia”.
Avrebbe voluto essere seppellito lì — “ frente al mar que conozco ” — ma Pinochet gli negò anche questa sua modesta volontà e fu possibile farlo solo quando venne cacciato il dittatore. Lì ora riposa, accanto a sua moglie. Se passate da quelle parti andateci a la Isla Negra. Venne costruita quando Pablo e i suoi amici andavano ai cortei gridando “ la isqierda unida jamas sera vencida ”. Da allora la sinistra è stata vinta innumerevoli volte, ma il posto è molto suggestivo e ricorda il nostro poeta come nessun altro posto al mondo.

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