2 agosto. 71 anni fa, il 2 agosto 1944, tutti i 2.897 rom dello Zigeunerlager di Auschwitz-Birkenau furono inghiottiti nei forni crematori
2 agosto. 71 anni fa, il 2 agosto 1944, tutti i 2.897 rom dello Zigeunerlager di Auschwitz-Birkenau furono inghiottiti nei forni crematori. Il 15 aprile del 2015, il Parlamento Europeo ha votato una risoluzione, che ricordando i 500.000 rom sterminati dai nazisti e da altri regimi» adotta il 2 agosto come «giornata europea della commemorazione dell’olocausto dei rom».
Il 15 aprile del 2015, il Parlamento Europeo ha votato una risoluzione per adottare il 2 agosto come «giornata europea della commemorazione dell’olocausto dei rom». La risoluzione ricorda: «I 500.000 rom sterminati dai nazisti e da altri regimi (…) e che nelle camere a gas nello Zigeunerlager (campo degli zingari) di Auschwitz-Birkenau in una notte, tra il 2 e il 3 agosto 1944, 2.897 rom, principalmente donne, bambini e anziani, sono stati uccisi».
Si ricorda altresì che in alcuni paesi fu eliminata oltre l’80% della popolazione rom. Secondo le stime di Grattan Pruxon, morirono 15.000 dei 20.000 zingari tedeschi, in Croazia ne sono uccisi 28.000 (ne sopravvivono solo in 500), in Belgio 500 su 600, ed in Lituania, Lussemburgo, Olanda e Belgio lo sterminio è totale, il 100% dei rom.
La studiosa Mirella Karpati riporta che la maggior parte dei rom polacchi fu trucidata sul posto dalla Gestapo e dalle milizie fasciste ucraine, le quali, in molti casi, uccidevano i bambini fracassando le loro teste contro gli alberi. Le testimonianze raccolte dalla Karpati sui crimini dei fascisti croati (gli ustascia) sono altrettanto aggancianti: donne incinta sventrate o a cui venivano tagliati i seni, neonati infilzati con le baionette, decapitazioni, ed altri orrori ancora. Per tali motivi i rom sloveni e croati oltrepassavano clandestinamente il confine con l’Italia, ma finivano in uno dei 23 campi di prigionia loro riservati e sparpagliati sull’intera penisola.
La risoluzione del Parlamento europeo prima citata considera l’«antiziganismo» come «un’ideologia basata sulla superiorità razziale, una forma di disumanizzazione e razzismo istituzionale nutrita da discriminazioni storiche». Il rom funge da sempre il capro espiatorio, a cui negare il suo carattere europeo, per farne una sorta di straniero interno (nonostante le loro comunità, e gli stessi termini rom e zingaro, si siano formati in Europa tra il 1300 ed il 1400).
I nazisti-fascisti hanno perfezionato le politiche europee anti-rom dei secoli XVI e XIX. Come ricorda l’antropologo Leonardo Piasere, il maggior numero degli editti anti-rom dell’epoca moderna furono emanati dagli stati preunitari tedeschi ed italiani. Forse non è un caso, ma saranno proprio Germania ed Italia, secoli dopo, a pianificare l’olocausto rom, oltre che quello ebraico. Secondo Stefania Pontrandolfo, in Italia, tra il 500 e il 700, ad applicare con più zelo tali editti furono gli Stati del Nord, contro una certa tolleranza del Meridione.
«Puri o impuri, comunque asociali»
I nazisti, ossessionati com’erano dalla presunta razza ariana, si erano interessati ai rom a causa della loro origine indiana. Li classificarono in quattro categorie, secondo il loro grado di «purezza» o «incrocio» con i non rom. Alla fine ritennero che tutti rom, puri o impuri che fossero, erano «asociali». Da qui la decisione della loro eliminazione. I bimbi rom (ed ebrei) deportati nei campi di sterminio erano vittime di esperimenti sadici: iniezione d’inchiostro negli occhi; fratture delle ginocchia, per poi iniettare nelle ferite ancora fresche i virus della malaria, del vaiolo e d’altro ancora.
Anche in Italia, come riporta Giovanna Boursier, con “il manifesto della razza” del 1940, l’antropologo fascista Guido Landra, inveiva contro «il pericolo dell’incrocio con gli zingari» che definiva randagi e anti-sociali. Ma già nel 1927 il Ministero dell’interno, ricorda sempre la Boursier, emanava direttive ai prefetti per «epurare il territorio nazionale» dagli zingari e «colpire nel suo fulcro l’organismo zingaresco».
Gli studiosi Luca Bravi, Matteo Bassoli e Rosa Corbelletto, suddividono in quattro fasi le politiche fasciste anti-rom e sinti (popolazioni di origine rom, ma che si autodefiniscono sinti e che vivono tra sud della Francia, nord Italia, Austria e Germania): tra il 1922 e il 1938 vengono respinti ed espulsi rom e sinti stranieri, o anche italiani ma privi di documenti; dal 1938 al 1940 si ordina la pulizia etnica di tutti i sinti e rom (anche italiani con regolari documenti), presenti nelle regioni di frontiera ed il loro confino a Perdasdefogu in Sardegna; dal 1940 al 1943 i rom e sinti, anche italiani sono rinchiusi in 23 campi di concentramento; dal 1943 al 1945 vengono rom e sinti sono deportati nei campi di sterminio nazisti.
La prima fase è segnata da una politica al tempo stesso xenofoba e rom-fobica, per cui si colpiscono quei rom, colpevoli di essere sia zingari che stranieri. In seguito si passa a reprime anche i rom italiani. Inoltre, dalla prigioniera nel campo si passa all’eliminazione fisica.
Grazie alle ricerche della Karpati, sappiamo che nei 23 campi in Italia le condizioni di vita erano molto dure. Racconta una donna: «Eravamo in un campo di concentramento a Perdasdefogu. Un giorno, non so come, una gallina si è infiltrata nel campo. Mi sono gettata sopra come una volpe, l’ho ammazzata e mangiata dalla fame che avevo. Mi hanno picchiata e mi son presa sei mesi di galera per furto».
Giuseppe Goman a 14 anni fu rinchiuso nel campo nei pressi di Agnone e i fascisti lo vollero fucilare per aver rubato del cibo in cucina, ma all’ultimo momento la pena fu commutata in «bastonature e segregazione». Nel campo di Teramo invece, un tenente dei carabinieri ebbe cosi pietà di quei «rom chiusi in condizioni miserevoli, che dormivano per terra con mangiare poco e razionato (…) che permise alle donne di andare ad elemosinare in paese. Nel campo di Campobasso, Zlato Levak ricorda: «Cosa davano da mangiare? Quasi niente. Il mio figlio più grande è morto nel campo. Era un bravo pittore e molto intelligente».
Per i rom italiani, l’essere rinchiusi nei campi di prigionia, non per aver commesso un reato, ma per la loro identità, fu uno shock. E pensare, che a causa della leva obbligatoria, gli uomini avevano servito nell’esercito durante la grande guerra o nelle colonie. Sarà forse per questo trauma, che molti di loro hanno una certa reticenza ad affermare in pubblico la propria identità, ed infatti l’opinione pubblica italiana ignora che dei circa 150.000 rom e sinti presenti in Italia, ben il 60–70% sono italiani da secoli e sono per lo più sedentari. Ignoriamo anche le vicende di molti rom, che fuggiti dai campi, si unirono alle formazioni partigiane e che alcuni di essi furono fucilati dai fascisti.
Luca Bravi e Matteo Bassoli fanno notare che il Parlamento italiano ha approvato nel 1999 la legge sulle minoranze storiche linguistiche (riconoscendone 12) «solo dopo aver stralciato l’inserimento delle comunità rom e sinti» (tra le più antiche d’Italia, dove sono presenti dal XIV secolo).
La nostra rimozione
La rimozione del nostro contributo ideologico e pratico all’olocausto dei rom, s’inserisce in un’operazione di oblio ben più ampia, che tocca anche i nostri crimini di guerra sotto il fascismo in Africa ed ex Jugoslavia. Come ben spiegato nel documentario Fascist Legacy della BBC, tali crimini non furono compiuti non solo dalle camicie nere, ma anche da soldati e carabinieri, tanto che lo stesso Badoglio era nella lista dei primi 10 criminali di guerra italiani da processare. Il processo non si è mai svolto, grazie al cambio di alleanza nel 1943 e al nostro contributo di sangue alla lotta nazi-fascista.
Ma il paradosso resta: Badoglio il primo capo di governo dell’Italia anti-fascista era stato un criminale di guerra agli ordini di Mussolini. La Legge 20 luglio 2000 sulla «memoria», parla si di olocausto ma non di rom. Su iniziativa dell’on. Maria Letizia De Torre le persecuzioni fasciste contro i rom sono finalmente ricordate dalla Camera dei Deputati in un ordine del giorno nel 2009. E pensare che il parlamento tedesco aveva riconosciuto l’olocausto rom già nel 1979, e nel 2013 una poesia del rom italiano Santino Spinelli (il cui padre fu internato dai fascisti) è incisa sul monumento eretto a Berlino.
Molti studiosi ed associazioni, per definire l’Olocausto rom, hanno adottato il termine porajmos, che in romanes significa «divoramento». Fu introdotto nel 1993 dal professore rom Ian Hancock dell’università del Texas, che lo sentì da un sopravvissuto ai campi di stermino. Il linguista Marcel Courthiade, esperto di romanes, ha proposto in alternativa samudaripen (tutti morti). Per amore del vero, va precisato, che il rom comune, che spesso non s’identifica nelle tante associazioni nazionali o internazionali rom e di non rom, e che resta lontano dai dibattitti accademici, non utilizza alcuno di questi termini.
Il ricordo di Pietro Terracina
Eppure quando pensiamo al 2 agosto 1944, quando tutti i 2.897 rom dello Zigeunerlager di Auschwitz-Birkenau furono inghiottiti nei forni crematori, ecco che sia «divoramento» che «tutti morti», ci appaiono così adatti ed evocativi. Ma perché ucciderli tutti in una sola notte? Forse si trattò di una punizione, poiché pochi mesi primi, armati di mazze e pietre, i rom si ribellarono, mettendo in fuga i nazisti.
Testimone oculare della notte del 2 agosto fu l’ebreo italiano Pietro Terracina, che ha raccontato a Roberto Olia : «Con i rom eravamo separati solo dal filo spinato. C’erano tante famiglie e bambini, di cui molti nati lì. Certo soffrivano anche loro, ma mi sembrava gente felice. Sono sicuro che pensavano che un giorno quei cancelli si sarebbero riaperti e che avrebbero ripreso i loro carri per ritornare liberi. Ma quella notte sentii all’improvviso l’arrivo e le urla delle SS e l’abbaiare dei loro cani. I rom avevano capito che si prepara qualcosa di terribile.
Sentii una confusione tremenda: il pianto dei bambini svegliati in piena notte, la gente che si perdeva ed i parenti che si cercavano chiamandosi a gran voce. Poi all’improvviso silenzio. La mattina dopo, appena sveglio alle 4 e mezza, il mio primo pensiero fu quello di andare a vedere dall’altra parte del filo spinato. Non c’era più nessuno.
Solo qualche porta che sbatteva, perché a Birkenau c’era sempre tanto vento. C’era un silenzio innaturale, paragonabile ai rumori ed ai suoni dei giorni precedenti, perché i rom avevano conservato i loro strumenti e facevano musica, che noi dall’altra parte del filo spinato sentivamo. Quel silenzio era una cosa terribile che non si può dimenticare. Ci bastò dare un’occhiata alle ciminiere dei forni crematori, che andavano al massimo della potenza, per capire che tutti i prigionieri dello Zigeunerlager furono mandati a morire. Dobbiamo ricordare questa giornata del 2 agosto 1944».
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