La guerra civile mai esistita, il mito in crisi dello stato post-franchista

Anniversario. Oggi, quarant’anni fa, gli ultimi 5 garrotati da Franco

La crisi che vive lo Stato spa­gnolo deriva anche dal venir meno della forza del «mito fon­da­tore» che ne era fonte di legit­ti­ma­zione: la tran­si­zione paci­fica dal fran­chi­smo alla demo­cra­zia (1975–1978). Il patto costi­tu­zio­nale ha smesso di essere rite­nuto vin­co­lante tanto dalla nuova sini­stra à la Pode­mos quanto dal più antico nazio­na­li­smo cata­lano del gover­na­tore indi­pen­den­ti­sta Artur Mas. Le isti­tu­zioni della Spa­gna uscita dall’intesa fra oppo­si­tori e «rifor­ma­tori» del regime, con la regia del re Juan Car­los e del pre­mier Adolfo Suá­rez, non sono più rico­no­sciute come patri­mo­nio comune.

Un esito che si spiega cer­ta­mente con la dram­ma­tica crisi che ha inve­stito l’economia del Paese, mostrando le radici marce di uno «svi­luppo» fatto di inde­bi­ta­menti pri­vati, spe­cu­la­zione e cor­ru­zione politico-finanziaria. Non solo. Alle gene­ra­zioni più gio­vani è venuto a man­care «il futuro», ma anche «il pas­sato». Per le per­sone «nate in demo­cra­zia», il cosid­detto «spi­rito della Tran­si­ción» non sof­fia più: la Costi­tu­zione del ’78 è ormai inca­pace di essere agente di mobi­li­ta­zione poli­tica, come invece, ad esem­pio, con­ti­nua ad esserlo quella ita­liana, nata dalla Resistenza.

A deco­struire il «mito della Tran­si­zione» è stata la parte migliore dell’intellettualità cri­tica, insieme a set­tori cre­scenti dei movi­menti gio­va­nili. Dalla società civile è nato quel movi­mento «per il recu­pero della memo­ria sto­rica» che ha messo il dito nella piaga di una grande con­trad­di­zione della demo­cra­zia spa­gnola: l’oblio della guerra civile e della lotta anti­fran­chi­sta. Quel «patto del silen­zio» sti­pu­lato fra il regime morente e i suoi oppo­si­tori per con­sen­tire di «vol­tare pagina», dopo la morte del dit­ta­tore Fran­ci­sco Franco (nella foto), senza ulte­riori spar­gi­menti di sangue.

E que­sto «silen­zio isti­tu­zio­nale», messo solo par­zial­mente in discus­sione dalla Ley de memo­ria histó­rica voluta dall’ex pre­mier Zapa­tero, si fa assor­dante in gior­nate come quella di oggi, qua­ran­te­simo anni­ver­sa­rio delle ultime con­danne a morte ese­guite dal regime. Cin­que fuci­la­zioni che smen­ti­scono la vul­gata secondo la quale l’anziano «gene­ra­lis­simo» – che morì nem­meno due mesi dopo, il 20 novem­bre – avesse già orien­tato la Spa­gna verso la demo­cra­zia, ammor­bi­dendo la con­du­zione auto­ri­ta­ria dello Stato. Il fran­chi­smo fu san­gui­na­rio fino alla fine, e la suc­ces­siva tran­si­zione fu tutt’altro che «paci­fica»: gli appa­rati dello Stato con­ti­nua­rono a uccidere.

Quel 27 set­tem­bre ’75 si con­su­ma­rono gli ultimi omi­cidi «legali» in un clima di enorme ten­sione, fuori e den­tro il Paese. Nei giorni pre­ce­denti mol­te­plici appelli di lea­der mon­diali, incluso papa Paolo VI, ave­vano chie­sto di evi­tare le undici ese­cu­zioni pro­gram­mate in seguito a tre giudizi-farsa con­tro oppo­si­tori appar­te­nenti ad orga­niz­za­zioni armate: il governo si mostrò cini­ca­mente «cle­mente» ridu­cendo a sol­tanto cin­que le con­danne a morte. Le pres­sioni inter­na­zio­nali non sal­va­rono le vite di Juan Pare­des Manot «Txiki» e Ángel Pare­des, mili­tanti dell’Eta, e di José Luís Sán­chez Bravo, Ramón Gar­cía Sanz e Xosé Hum­berto Baena Alonso, del marxista-leninista Frap, Frente Revo­lu­cio­na­rio Anti­fa­sci­sta y Patriota.

Il giorno stesso un’ondata di pro­te­sta scosse l’Europa e non solo: rela­zioni diplo­ma­ti­che inter­rotte, amba­sciate spa­gnole prese d’assalto, e for­mali richie­ste di espel­lere la Spa­gna dall’Onu. Il regime rispose con un’oceanica mani­fe­sta­zione: il primo otto­bre, nella madri­lena Plaza de Oriente, nel suo ultimo inter­vento pub­blico Franco denun­ciò «una cospi­ra­zione mas­so­nica e marxista».

Oggi saranno solo ini­zia­tive spon­ta­nee a ricor­dare i cin­que mili­tanti giu­sti­ziati, vit­time di un oblio pub­blico che li acco­muna a ogni altro «mili­tante ignoto» dell’antifascismo spa­gnolo. Nelle mani­fe­sta­zioni a loro dedi­cate risuo­ne­ranno le note di Al Alba, can­zone che scrisse per loro il grande can­tau­tore Luis Eduardo Aute, diven­tata sim­bolo dell’antifascismo. Comin­ciò a cir­co­lare subito dopo le ese­cu­zioni, elu­dendo la cen­sura del regime, che non aveva capito come, die­tro le parole di un inna­mo­rato («Se ti dicessi, amore mio, che temo l’alba»), ci fosse l’angoscia dell’ultima notte dei cin­que con­dan­nati, e di tutta la Spa­gna che lot­tava con loro.

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