Euskadi, disarmo definitivo. L’organizzazione basca rivela alla polizia francese le coordinate dei suoi depositi. Duro il governo di Madrid: «Operazione mediatica per mascherare la sconfitta»
L’8 aprile 2017 sarà ricordato nei manuali di storia come quello in cui, 58 anni dopo la sua nascita e 860 morti rimasti sul terreno, l’Eta ha cessato definitivamente di esistere.
Quasi sei anni dopo l’annuncio della fine definitiva della lotta armata, ieri ha avuto luogo nella città francese di Bayona la consegna delle armi. L’Eta ha passato alle autorità francesi la geolocalizzazione di 8 depositi, in cui sarebbero custodite 118 pistole, quasi 3000 chili di esplosivo e più di 25mila fra detonatori e munizioni. Il gesto, anticipato da un comunicato che l’organizzazione armata aveva fatto avere alla Bbc venerdì, era atteso da molto tempo dalle autorità basche, francesi e spagnole.
È STATO IL PRESIDENTE della Commissione internazionale di verifica costituita nel 2011, il cingalese Ram Manikkalingam, che ha confermato davanti alla stampa in mattinata l’avvenuta consegna delle armi. Manikkalingam è il fondatore del Dialogue Advisory Group, con sede ad Amsterdam, un think tank che facilita il dialogo politico per ridurre i conflitti violenti. «Questo passo storico costituisce il disarmo dell’Eta», ha assicurato. E ha aggiunto che la Commissione spera che «aiuti a consolidare la pace e la convivenza» nella società basca.
MANIKKALINGAM non ha dato dettagli né sulla quantità, né sul tipo di armi, e non ha precisato se fra le armi consegnate alla polizia francese fossero presenti quelle rubate a fine 2006 in Francia. «L’importante è che l’Eta è completamente disarmata», ha dichiarato Micheal Tubiana, uno dei cosiddetti «artigiani della pace» che hanno facilitato il processo in questi mesi. Dal 2011 la polizia francese ha continuato a sequestrare piccoli quantitativi di armi di un arsenale che comunque tutte le fonti della polizia francese, basca e spagnola indicavano da tempo come molto ridotto.
Il presidente del governo basco, Íñigo Urkullu, del partito nazionalista basco (destra nazionalista moderata) aveva informato qualche giorno fa il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy di quanto stava per accadere. L’obiettivo di Urkullu era evitare che il governo spagnolo, come già accaduto in passato, frapponesse ostacoli. Stavolta questo non è accaduto, anche se il governo del Pp si è distinto in questi sei anni da un immobilismo estremo. Dal momento in cui assunse il potere a fine 2011, due mesi dopo l’annuncio della fine delle ostilità, fino a oggi il Pp non ha fatto nessun passo per facilitare il consolidamento della pace, né formalmente né informalmente.
L’ETA AVREBBE VOLUTO negoziare il passo di ieri con Madrid, ma i rappresentanti del governo spagnolo hanno sistematicamente disertato le riunioni organizzate dai mediatori internazionali. Il tema più caldo dopo anni di terrorismo è ancora oggi quello del carcere. Per il momento i condannati per terrorismo sono quasi sempre rinchiusi in carceri molto lontane da Euskadi, il paese basco, e questa è una misura punitiva che il governo finora si è sempre rifiutato di discutere, nonostante le pressioni della società civile e dello stesso governo basco.
SE IL GOVERNO SPAGNOLO, che non era presente all’atto di Bayona, per bocca del ministro degli interni Juan Ignacio Zoido ieri ha mantenuto che si tratta solo di «un’operazione mediatica per mascherare la sconfitta» e Madrid non farà «nessuna valutazione» sull’armamento fino a che non venga esaminato dalle autorità francesi, la reazione degli altri partiti è stata più sfumata. Il Partito socialista in Euskadi era stato molto criticato dal Pp perché martedì aveva appoggiato (assieme ai nazionalisti baschi, a Bildu, il braccio politico dell’Eta – oggi contrario alla violenza – e a Podemos) un documento in cui incitavano il governo a sostenere il processo di disarmo dell’Eta.
LA POSIZIONE DEI SOCIALISTI è rilevante perché rompe con il blocco «centralista» che storicamente aveva visto Pp e Psoe arrivare a governare assieme Euskadi in funzione anti-nazionalista. Secondo, perché il presidente di quel governo era Patxi López, uno tre candidati alla segreteria nazionale del Partito socialista, assieme a Pedro Sánchez e alla favorita Susana Díaz. E terzo perché indica che soprattutto le versioni locali del partito socialista sono su posizioni molto meno granitiche del partito di Madrid rispetto alle rivendicazioni nazionaliste di Euskadi, Catalogna e Galizia.
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