I giudici cambiano idea: «La pena a 27 anni non è prescritta» per l’ex Br in Argentina

Bertulazzi partecipò al sequestro Costa. La Cassazione lo aveva dichiarato uomo libero

No, otto mesi trascorsi in cella all’estero non bastano a chiudere un conto con la giustizia che vale 27 anni di prigione; mai scontati, a parte quella breve parentesi in una prigione straniera. Lo hanno deciso i giudici di Genova a proposito dell’ex brigatista rosso Leonardo Bertulazzi, colpevole di banda armata, sequestro di persona e altri reati, latitante dal 1980 e riparato prima in Salvador e poi in Argentina. Nei mesi scorsi gli stessi giudici avevano dichiarato prescritta la pena, proprio perché non eseguita ad oltre trent’anni dalla condanna, e a marzo il timbro della Cassazione su quella decisione aveva fatto tornare l’ex terrorista un uomo libero. Con la possibilità di rientrare in Italia, a 67 anni d’età, senza rischiare l’arresto.

Invece no. La corte d’assise d’appello di Genova ha stabilito tre giorni fa che quella pena non s’è estinta, perché l’arresto avvenuto a Buenos Aires nel novembre 2002 ha interrotto il decorso della prescrizione, nonostante le autorità argentine abbiano poi negato l’estradizione liberando l’ex brigatista a luglio del 2003. «Essendo perdurata la latitanza del Bertulazzi dopo la scarcerazione — hanno scritto i giudici nel loro provvedimento —, e rappresentando l’arresto eseguito (in forza di una procedura di estradizione sulla cui legittimità nulla è mai stato contestato dalla difesa del condannato) la manifestazione del concreto interesse dello Stato ad eseguire la pena, il decorso dei termini di prescrizione è iniziato ex novo». Conclusione: «Le pene inflitte a Bertulazzi Leonardo non sono prescritte».

Dunque l’ex brigatista dal nome di battaglia «Stefano» resta ufficialmente ricercato, sebbene sia noto a tutti l’indirizzo del suo domicilio a Buenos Aires e difficilmente l’Argentina lo arresterà di nuovo per consegnarlo alla magistratura italiana. Nel 2003, infatti, l’estradizione non fu concessa perché i processi si erano celebrati in assenza dell’imputato latitante, situazione che da allora non è cambiata. Tuttavia la giustizia italiana continua a inseguire il brigatista sfuggito all’esecuzione della condanna.

Leonardo Bertulazzi ha fatto parte della colonna genovese delle Br ed è stato ritenuto responsabile del sequestro dell’armatore navale Pietro Costa, rapito il 12 gennaio 1977. Fu un sequestro per autofinanziamento, che si concluse all’inizio di aprile dopo il pagamento del riscatto: un miliardo e mezzo di lire che garantirono alle Br la sopravvivenza per i successivi quattro anni. Con una parte di quei soldi, 50 milioni, venne acquistato l’appartamento in cui fu installata la «prigione del popolo» dove fu rinchiuso Aldo Moro nella primavera dell’anno successivo.

Insieme a Bertulazzi, al sequestro Costa parteciparono, tra gli altri, Riccardo Dura (che nel 1979 uccise l’operaio comunista Guido Rossa) e Mario Moretti. Dura morì nell’80 durante l’irruzione dei carabinieri nel covo di via Fracchia a Genova, mentre Moretti è tuttora detenuto in regime di semilibertà. Il loro ex compagno «Stefano», invece, riuscì a fuggire all’estero ed era ormai certo, dopo la dichiarazione di inammissibilità dell’ultimo ricorso della Procura generale da parte della Cassazione, che la storia fosse finita. Ma i giudici hanno ritenuto che il verdetto della corte suprema non potesse considerarsi definitivo poiché la questione dell’interruzione del decorso della prescrizione non era stata affrontata nei precedenti giudizi. Un cavillo tecnico-giuridico che tiene aperta la storia.

FONTE: Giovanni Bianconi, CORRIERE DELLA SERA

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