BUENOS AIRES. José Antonio Gonzaléz Pacheco, detto «Billy El Niño», è accusato di aver partecipato a torture e omicidi durante la dittatura Videla in Argentina, da tempo vive in Spagna, dove, da rifugiato, si era trasferito anche, José Galante, «Chato» per gli amici, uno delle vittime di Billy El Niño. «Quell’uomo vive vicino a casa mia, ci separano due vie – ci dice Chato -. Ogni giorno devo convivere con questa presenza, e con l’idea che lui continui a vivere in totale libertà». Non solo: Billy El Niño continua a ricevere il vitalizio accordatogli nel 1977 in Spagna, e nessuno ha ancora ritirato la medaglia al merito che, lo stesso anno, gli fu concessa dalla Casa reale ancora regnante. Adesso, dopo più di quarant’anni, Chato può sperare di vedere il suo torturatore vicino di casa sul banco degli accusati, ma non in Spagna, in Argentina, in virtù del fascicolo aperto dalla giudice Maria Servini, che ha preso finalmente in carico la cosiddetta querella argentina cercando di portare i molti casi di torturatori argentini che vivono liberi in Spagna, ancora protetti dall’amnistia franchista, nell’ambito del diritto internazionale per un reato che non ha termini di prescrizione: lesa umanità.
La storia del franchismo del resto non è ancora pronta a finire in archivio, in Spagna, se la Corte Suprema spagnola ha bloccato soltanto il 4 giugno scorso, poco più di una settimana fa, la riesumazione delle spoglie del «generalissimo» Francisco Franco sepolte nel mausoleo all’interno del memoriale per i caduti della guerra civile, alle porte di Madrid. I giudici spagnoli hanno accolto la richiesta della famiglia del dittatore. Il trasferimento del corpo dal monumento al cimitero di El Pardo era stato programmato per lunedì 10 giugno dall’attuale governo spagnolo di Pedro Sanchez. E all’operazione di traslazione della salma si oppone anche il Partito popolare. La decisione della Corte testimonia come la dittatura franchista e il periodo subito seguente, in cui si sviluppò il processo di transizione democratica (1975-1978), siano una ferita ancora aperta nella Spagna di oggi.
E lo sa bene Fermin Rodriguez: «Sono quasi quarant’anni che aspetto che un giudice dia valore alla mia testimonianza». Fermin è fratello di Germán Rodriguez, ucciso nel 1978, a soli 23 anni, dalla polizia. Accanto a lui c’è Manuel Ruiz, fratello di Arturo, ucciso a 19 anni, nel gennaio del 1977, dal gruppo paramilitare Cristo Rey. I due – Fermin e manuel – hanno viaggiato fino a Buenos Aires per deporre la propria testimonianza, il 5 giugno, di fronte alla giudice Maria Servini sull querella argentina. «Finalmente è arrivato il giorno che aspettavo da tempo – dice Rodriguez prima dell’udienza – Sono felice».
Su impulso di Carlos Slepoy, avvocato argentino esiliato in Spagna dopo essere stato torturato sotto il governo di Peròn, la causa è arrivata a Buenos Aires il 14 aprile 2010 quando un gruppo composto da organizzazioni argentine e spagnole – tra cui l’Associazione per il recupero della memoria spagnola, le Abuelas di Plaza de Mayo, il Centro argentino di Studi legali e sociali – insieme a Adolfo Pérez Esquivel, Nobel per la pace 1980, presentano al Tribunale di giustizia argentino un atto d’accusa per crimini di lesa umanità, basandosi sul principio di giustizia universale previsto dalla legislazione internazionale.
La querella ha potuto contare sull’importante esperienza argentina rispetto al recupero della memoria in merito ai crimini della dittatura di Videla. Un lavoro compiuto soprattutto dalle Madri di Plaza de Mayo che è arrivato all’abrogazione, sotto il governo di Nestor Kirchner, dell’amnistia che proteggeva i criminali della dittatura. Un percorso di giustizia in cui ha avuto un ruolo imprescindibile la Spagna: «A fine anni ’90 fu proprio la Spagna a istruire la causa contro i crimini della dittatura», ricorda Videla Norita Cortinas di Madri di Plaza de Mayo Linea Fundadora. «Ora le parti si invertono. Vi staremo sempre vicine», continua rivolgendosi ai familiari delle vittime incontrate presso la Federazione Gallega di Buenos Aires.
Ad oggi, i querelanti – più di 400 – continuano a scontrarsi contro la chiusura della Spagna, che negli anni ha mostrato tutto l’interesse a non aprire alcuno spiraglio all’apertura di questo capitolo della sua storia: nel 2016 una circolare ordinò a tutte le procure di non collaborare con la giudice argentina, per non entrare in conflitto con la legge di amnistia. Atti, quelli della Spagna, portati avanti ufficialmente nel nome della «riconciliazione», necessaria, secondo i vari governi e la monarchia a superare la dittatura e costruire uno Stato democratico. Di parere opposto, le vittime del franchismo: «Uno Stato non può imporre di dimenticare né può obbligare al perdono», afferma Ruiz. Gli fa eco Chato che ora rappresenta La Comuna – associazione di prigionieri del franchismo – ed è tra l’altro protagonista del documentario Il silenzio degli altri prodotto da Pedro Almodovar, lavoro che sta contribuendo a diffondere conoscenza sul tema. «La memoria è la storia socializzata di un popolo, per questo è un luogo di conflitto tra differenti interessi sociali», afferma Chato, invitato al Festival internazionale di cinema per i diritti umani di Buenos Aires.
In particolare, l’incontro del 5 giugno ha rappresentato un passo decisivo all’interno della querella: le testimonianze di Rodriguez e Ruiz confermano la persistenza di crimini commessi dai franchisti anche durante il processo di transizione. German Rodriguez fu ucciso durante i «fatti di San Fermín de Pamplona», quando una manifestazione organizzata per la liberazione dei prigionieri politici incarcerati dal franchismo venne repressa nel sangue. Arturo Raiz perse la vita nella feroce repressione dei cortei a favore dell’amnistia per i prigionieri politici, conosciuta come semana negra (settimana nera) di Madrid. «Stavo pranzando con i miei genitori. Venimmo a sapere dalla televisione dell’uccisione di mio fratello», racconta ora Manuel Ruiz, evidenziando che «il suo assassino non è mai stato giudicato. È fuggito dalla Spagna, con la complicità delle forze dell’ordine».
«La struttura repressiva, economica e politica della dittatura di Franco rimasero intatte nel regime democratico instaurato dalla Costituzione del 1978 – afferma Jacinto Lara, uno degli avvocati del Coordinamento statale di appoggio alla querella argentina (Ceaqua) – Ci sono persone coinvolte in tutti i tipi di crimini che hanno continuato il proprio lavoro e spesso sono state anche promosse». È il caso di Rodolfo Martin Villa, ministro dell’Interno dal 1976 al 1979. La giudice Servini ha emesso per lui un ordine di estradizione, accusandolo del massacro del 3 marzo 1976 a Gasteiz. Contro la sua estradizione si è espressa la Audiencia nacional di Madrid. Ma Villa ha dichiarato che si presenterà sua sponte il prossimo 9 settembre a Buenos Aires davanti alla giudice Servini. Sarebbe il primo degli accusati a testimoniare.
* Fonte: IL MANIFESTO
photo: Gastón Cuello [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)]
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