50 ANNI DOPO, LA FALSIFICAZIONE CONTINUA

La “madre di tutte le stragi” e la falsificazione delle parole e della storia

Secondo la ricerca “Il ricordo delle stragi impunite fra gli studenti delle scuole superiori”, svolta nel febbraio 2000 dall’ISMEC, Istituto milanese per la storia dell’età contemporanea, della Resistenza e del movimento operaio, in collaborazione con l’Istituto CIRM, su un campione rappresentativo di 1000 studenti delle scuole superiori milanesi, il 43% degli intervistati attribuisce la responsabilità delle varie stragi alle BR. La percentuale sale al 55% tra coloro che si ritengono ben informati. Del resto, il 70% non ha mai sentito parlare di Giuseppe Pinelli e solo il 6,4% risponde correttamente che era un ferroviere anarchico morto durante un interrogatorio. Il 66,2% non ha mai sentito nominare Pietro Valpreda e solo il 5,6% lo qualifica come anarchico accusato ingiustamente.
Scrivere e sostenere oggi, a quasi vent’anni da quella ricerca e a cinquanta dalla “madre di tutte le stragi”, che si trattò dell’inizio degli “anni di piombo” come stanno facendo in molti, sicuramente provocherà nel breve periodo che quelle percentuali di disinformazione nei giovani cresceranno ulteriormente. Una disinformazione, beninteso, che non è colpa loro (almeno, non principalmente), ma appunto di quei professionisti dei media e della politica che sapientemente e per dolo revisionano la storia, naturalmente cominciando dall’uso delle parole. Quegli studenti disinformati di vent’anni fa sono magari i disinformati giornalisti di oggi. In ogni modo, chi blatera di “Anni di piombo”, sa o dovrebbe sapere che quella definizione è derivata dal titolo di un film del 1981 di Margarethe von Trotta sulla lotta armata (di sinistra) in Germania negli anni Settanta. Da allora è stata utilizzata, giornalisticamente e non solo, sino a divenire senso e linguaggio comune, per identificare la lotta armata di sinistra in Italia.
Applicarla oggi alle stragi, insomma, non è un’operazione innocente. È una tappa, purtroppo temo finale, di un processo di falsificazione, semantica e politica, che ha avuto tra i massimi artefici l’ex capo dello stato Giorgio Napolitano che ha voluto e promulgato la legge n. 56 del 4 maggio 2007 con la quale istituiva il «Giorno della memoria, dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice». Che così recita: «La Repubblica riconosce il 9 maggio, anniversario dell’uccisione di Aldo Moro, quale “Giorno della memoria”, al fine di ricordare tutte le vittime del terrorismo, interno e internazionale, e delle stragi di tale matrice».
Nella cerimonia dell’anno successivo, Giorgio Napolitano addirittura ricordava non solo le vittime del terrorismo e delle stragi, ma «anche le vittime causate da fatti di diversa natura, dal disastro di Ustica all’intrigo delittuoso della Uno Bianca, ai caduti nell’adempimento del loro dovere e ai semplici cittadini, uomini e donne, che hanno perso la vita in torbide circostanze, su cui non sempre si è riusciti a fare pienamente chiarezza e giustizia». E continuava imperterrito: «Più in generale, mi inchino a tutti i caduti per la Patria, per la libertà e per la legalità democratica, e dunque – come dimenticarle! – alle tante vittime della mafia e della criminalità organizzata».
Veniva così ribadito e consacrato in forma e in forza di legge un assunto assai discutibile, per non dire falso, ovvero che il terrorismo, la lotta armata e le stragi, e persino la criminalità mafiosa siano fenomeni assimilabili e omogenei. Contemporaneamente, con la scelta simbolica della data, si indicava che il terrorismo è da considerarsi quello di sinistra, quello che ha ucciso Aldo Moro. Anziché, come più logico e storicamente fondato, oltre che cronologicamente corretto, il 12 dicembre, il giorno della prima grande strage. L’inizio di una guerra, la risposta all’autunno caldo, in cui non solo i manovali fascisti ma i loro burattinai volevano che l’Italia seguisse le orme della Grecia.
Erano tempi in cui a Roma manifestavano coloro che si definivano “Amici delle forze armate”, con in testa il generale dei carabinieri De Lorenzo, già a capo dei servizi segreti del SIFAR, al grido «Basta con i bordelli, vogliamo i colonnelli» e «Ankara, Atene, adesso Roma viene». .
Oggi non lo ricorda nessuno, ma quello era il clima, quelle erano le istituzioni “democratiche”.
Una strage di Stato, dunque, non solo di Ordine Nuovo.
Ricordare e ribadire tutto ciò oggi è forse inutile, perché la falsificazione è compiuta e irreversibile. Ma sapere e continuare a dire la verità è un piccolo atto di resistenza ormai purtroppo individuale (“una storia e una memoria quasi solo nostra”) all’infamia dei tempi e alla preponderanza numerica e bipartisan dei falsificatori e degli smemorati.
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Immagine: Uno degli arazzi realizzati dalle Accademie Artistiche Italiane con l’intervento di Dario Fo portato in corteo a Milano nel 2005

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