Sarà il dodicesimo processo a quarantuno anni dai fatti, prima udienza fissata per martedì prossimo, ma si rischia già un rinvio. A chissà quando
Sarà il dodicesimo processo a quarantuno anni dai fatti, prima udienza fissata per martedì prossimo, ma si rischia già un rinvio. A chissà quando. Oppure uno stralcio che sottrarrebbe al giudizio l’imputato più significativo. È l’ennesima beffa in agguato sulla strage di Brescia, 28 maggio 1974, otto morti e cento feriti, la bomba più emblematica della strategia della tensione che in insanguinò l’Italia in quella stagione di transizione politica. Un pezzo di storia che è ancora cronaca, nel tentativo di attribuire le responsabilità a qualche nome e cognome, e non solo a un movimento eversivo.
I dibattimenti del passato hanno chiarito che dietro l’eccidio c’erano i neofascisti di Ordine nuovo; il prossimo — dopo l’annullamento dell’ultima assoluzione, deciso dalla Cassazione nel febbraio 2014 — è l’ultima possibilità per dire se i due imputati rispediti alla sbarra siano colpevoli o innocenti, secondo la legge.
L’appuntamento è per il 26 maggio, due giorni prima dell’anniversario, davanti alla Corte d’assise d’appello di Milano; quelle disponibili a Brescia sono finite, non ce n’erano più che non si fossero già pronunciate, e dunque ci si è dovuti spostare a Milano. Solo che uno dei due accusati — Carlo Maria Maggi, ottant’anni compiuti a dicembre, capo ordinovista del Triveneto al tempo della strage — ha presentato tramite il suo legale un’istanza di sospensione del processo. «Non è in grado di partecipare al giudizio per l’assoluta incapacità di comprensione di ciò che gli accade intorno» spiega l’avvocato Mauro Ronco che ha presentato documentazione medica a sostegno della sua tesi, dove si riassumono le malattie sofferte dall’ex estremista nero; con ogni probabilità la Corte disporrà una perizia per verificare la situazione e dunque il rinvio dell’udienza. Dopodiché, se gli esperti nominati dai giudici dovessero stabilire che effettivamente Maggi non è in grado di intendere né volere, dovrà stralciare la sua posizione e procedere senza di lui. Come è accaduto per Bernardo Provenzano nel dibattimento sulla presunta trattativa fra lo Stato e la mafia.
Per le parti civili — i rappresentanti dei familiari delle vittime che in tutti questi anni sono stati un’autentica forza propulsiva accanto alla pubblica accusa, senza mai arrendersi ai depistaggi e agli ostacoli di ogni genere frapposti alla ricerca della verità, compreso un omicidio commesso in carcere — sarebbe uno smacco: la figura di Maggi rappresenta infatti il punto d’arrivo della battaglia che hanno combattuto e vinto, in Cassazione, dopo l’ultima assoluzione. Con gli elementi raccolti nei confronti di quell’imputato, ha sentenziato la Corte suprema, era pressoché impossibile non riconoscerne la colpevolezza: «A carico di Maggi vi sono moltissimi indizi che paiono essere convergenti verso un suo ruolo determinante nell’organizzazione della strage, mentre non sembra esservi un’ipotesi alternativa a quella accusatoria che possa fare da filo conduttore per tutti gli indizi enumerati». Di conseguenza i nuovi giudici, pur «restando liberi nelle proprie determinazioni conclusive» dovranno «adeguarsi ai suddetti principi e adeguare la motivazione della nuova sentenza».
Con una simile indicazione giunta dai giudici di legittimità, a Maggi resta una strada molto stretta per ottenere un verdetto diverso dalla condanna. E adesso ecco la richiesta di sospensione del processo sine die ; forse a mai più, considerata l’età avanzata. «Ma nei precedenti processi non ha mai partecipato a una sola udienza» fa notare Manlio Milani, che nella strage perse la moglie Livia e da sempre guida l’Associazione familiari delle vittime. Una stranezza che potrebbe far nascere qualche sospetto. «Maggi esercita un suo diritto che noi rispettiamo — chiarisce Milani — però anche noi, dopo tanto tempo, abbiamo diritto a vedere celebrato questo processo».
Comunque vada, resta la sentenza della Cassazione che indica la precisa responsabilità di Ordine nuovo veneto e le pesanti ombre sul suo capo di allora.
E resta l’altro imputato superstite, Maurizio Tramonte, militante della stessa area eversiva nonché informatore del servizio segreto militare dell’epoca. Nei suoi confronti i pubblici ministeri hanno intenzione di chiedere la riapertura del dibattimento, presentando nuovi indizi a carico .
I dibattimenti del passato hanno chiarito che dietro l’eccidio c’erano i neofascisti di Ordine nuovo; il prossimo — dopo l’annullamento dell’ultima assoluzione, deciso dalla Cassazione nel febbraio 2014 — è l’ultima possibilità per dire se i due imputati rispediti alla sbarra siano colpevoli o innocenti, secondo la legge.
L’appuntamento è per il 26 maggio, due giorni prima dell’anniversario, davanti alla Corte d’assise d’appello di Milano; quelle disponibili a Brescia sono finite, non ce n’erano più che non si fossero già pronunciate, e dunque ci si è dovuti spostare a Milano. Solo che uno dei due accusati — Carlo Maria Maggi, ottant’anni compiuti a dicembre, capo ordinovista del Triveneto al tempo della strage — ha presentato tramite il suo legale un’istanza di sospensione del processo. «Non è in grado di partecipare al giudizio per l’assoluta incapacità di comprensione di ciò che gli accade intorno» spiega l’avvocato Mauro Ronco che ha presentato documentazione medica a sostegno della sua tesi, dove si riassumono le malattie sofferte dall’ex estremista nero; con ogni probabilità la Corte disporrà una perizia per verificare la situazione e dunque il rinvio dell’udienza. Dopodiché, se gli esperti nominati dai giudici dovessero stabilire che effettivamente Maggi non è in grado di intendere né volere, dovrà stralciare la sua posizione e procedere senza di lui. Come è accaduto per Bernardo Provenzano nel dibattimento sulla presunta trattativa fra lo Stato e la mafia.
Per le parti civili — i rappresentanti dei familiari delle vittime che in tutti questi anni sono stati un’autentica forza propulsiva accanto alla pubblica accusa, senza mai arrendersi ai depistaggi e agli ostacoli di ogni genere frapposti alla ricerca della verità, compreso un omicidio commesso in carcere — sarebbe uno smacco: la figura di Maggi rappresenta infatti il punto d’arrivo della battaglia che hanno combattuto e vinto, in Cassazione, dopo l’ultima assoluzione. Con gli elementi raccolti nei confronti di quell’imputato, ha sentenziato la Corte suprema, era pressoché impossibile non riconoscerne la colpevolezza: «A carico di Maggi vi sono moltissimi indizi che paiono essere convergenti verso un suo ruolo determinante nell’organizzazione della strage, mentre non sembra esservi un’ipotesi alternativa a quella accusatoria che possa fare da filo conduttore per tutti gli indizi enumerati». Di conseguenza i nuovi giudici, pur «restando liberi nelle proprie determinazioni conclusive» dovranno «adeguarsi ai suddetti principi e adeguare la motivazione della nuova sentenza».
Con una simile indicazione giunta dai giudici di legittimità, a Maggi resta una strada molto stretta per ottenere un verdetto diverso dalla condanna. E adesso ecco la richiesta di sospensione del processo sine die ; forse a mai più, considerata l’età avanzata. «Ma nei precedenti processi non ha mai partecipato a una sola udienza» fa notare Manlio Milani, che nella strage perse la moglie Livia e da sempre guida l’Associazione familiari delle vittime. Una stranezza che potrebbe far nascere qualche sospetto. «Maggi esercita un suo diritto che noi rispettiamo — chiarisce Milani — però anche noi, dopo tanto tempo, abbiamo diritto a vedere celebrato questo processo».
Comunque vada, resta la sentenza della Cassazione che indica la precisa responsabilità di Ordine nuovo veneto e le pesanti ombre sul suo capo di allora.
E resta l’altro imputato superstite, Maurizio Tramonte, militante della stessa area eversiva nonché informatore del servizio segreto militare dell’epoca. Nei suoi confronti i pubblici ministeri hanno intenzione di chiedere la riapertura del dibattimento, presentando nuovi indizi a carico .
Giovanni Bianconi
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