Non possiamo che essere qui

Ex terroristi rossi e neri, ex brigatisti, ex comandanti o gregari della lotta armata oggi impegnati nel sociale e nel volontariato

Susanna e le altre. Tante altre, e tanti altri. Ex terroristi rossi e neri, ex brigatisti, ex comandanti o gregari della lotta armata oggi impegnati, come la Ronconi – nominata nella consulta sulle tossicodipendenze del ministero della Solidarietà – nel sociale e nel volontariato. Una scelta che molti mal tollerano – prova ne sia la levata di scudi contro l’incarico governativo alla Ronconi – o quanto meno non si spiegano, trovandola offensiva di quei valori che gli ex, quando ex non erano ancora, facevano a pezzi con le armi e ora invece affermano dalla trincea del sociale. Sergio Segio è uno di loro. Responsabile dell’associazione SocietàIN-formazione, che lotta contro il disagio, e del Gruppo Abele di Milano, ha da poco pubblicato per Rizzoli Una vita in prima linea, dove racconta gli anni in cui era il “comandante Sirio” della banda armata di cui fu anche fondatore. Poi 22 anni di carcere, e l’approdo all’associazione di don Luigi Ciotti. Nel suo libro c’è un capitolo che si intitola «Che fine hanno fatto?». Qui Segio elenca, nome per nome (ma tacendo i cognomi), i militanti di Prima Linea, raccontando che cosa fanno oggi. Su 57 mini biografie di viventi, ben 25 riguardano persone che si occupano di solidarietà.

Vita: Perché secondo lei tanti ex terroristi oggi lavorano nel sociale?
Sergio Segio: Per più di un motivo intrecciato. Uno, banale, perché solo dal sociale, o dal volontariato, c’è stata disponibilità nei nostri confronti, mentre la società era, ed è, chiusa al reinserimento di ex terroristi. Molti di noi hanno iniziato a entrare nelle associazioni quand’erano in semilibertà, e lì sono rimasti. Ma c’è anche un altro motivo, più profondo.

Vita: Ha a che fare col vostro passato?
Segio: Con la voglia di riconvertire la tensione sociale nei confronti degli ultimi che ci ha portato sciaguratamente alle armi. Prenda me, per esempio.

Vita: Come ha cominciato?
Segio: Ho iniziato a fare estremismo politico di sinistra occupando le case per i senza tetto, poi la mia strada mi ha portato alla lotta armata. Pensavo di realizzare la giustizia sociale. Un orrore di cui ho preso coscienza, ma senza perdere la tensione a spendere la mia vita a favore degli ultimi, e a cercare modi per mettermi a disposizione di chi ha problemi. Perché quella è la mia casa emotiva.

Vita: Un percorso comune ad altri della sua generazione che hanno compiuto gli stessi errori…
Segio: È naturale per noi cercare un luogo dove riconvertire le nostre inquietudini. Alcuni ci sono riusciti battendo altre strade, molti hanno scelto il sociale, trovandoci, se non la propria vocazione, almeno una risposta. Come dice Aldo Bonomi: c’è in noi una testarda voglia di stare dentro il sociale anche per distanziarci dalla politica. Vogliamo contribuire alla trasformazione sociale stando dentro e a fianco delle persone, non sopra.

Vita: Cosa cercano gli ex terroristi in questo mondo?
Segio: Di tenere assieme passato e presente. Molti, troppi sono stati costretti a tirare su un muro invalicabile tra sé e il proprio passato, se volevano lavorare e crescere i figli. Di qui una sorta di saracinesca interiore, che spezza la linea, seppure tortuosa, che ciascuno di noi cerca di mantenere tra il sé del passato e quello del presente. Io credo invece che occorre avere memoria, sia a livello individuale che sociale. Per avere coscienza di sé e dei propri errori non bisogna nasconderli, ma analizzarli e trasportarli nel presente in forma diversa.

Vita: Altrimenti cosa succede?
Segio: A livello sociale è un’operazione rischiosa. La società e la politica sbagliano a creare una cesura con la violenza degli anni di piombo. Il modo in cui non si cura la lacerazione degli anni 70 ha fatto infettare la ferita, che oggi è piena del pus dell’intolleranza. Certo, non credo che la riconciliazione possa essere demandata a chi ha sofferto per colpa del terrorismo, ma alla classe dirigente sì.

Vita: Cosa possono dare gli ex brigatisti al mondo della solidarietà?
Segio: Competenze e sensibilità. Almeno lo spero. Credo che possa essere utile, per esempio, la conoscenza che abbiamo del carcere, ma anche le esperienze sbagliate che ci portiamo dentro e di cui siamo consapevoli. Poi ci sono casi, come quello di Susanna Ronconi, in cui la competenza è stata costruita in 15 anni di lavoro sul campo. Susanna ha praticamente inventato le unità di strada per i tossicodipendenti, è stata una pioniera in Italia.

Vita: Cosa prova quando assiste a polemiche come quelle dei giorni scorsi?
Segio: Stanchezza. C’è un ostracismo senza fine, un ergastolo bianco decretato nei confronti degli ex terroristi, anche di quelli dissociati, che in tempi non sospetti avevano preso le distanze dalle armi. Io cerco di mettermi nei panni degli altri e capisco il risentimento di chi ha sofferto per ferite non rimarginabili. Ma il rancore senza fine no, non lo capisco.

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