La narrazione delle foibe

grave lo scambio di una foto più volte diffusa come «documento» delle violenze jugoslave in cui al contrario sono rappresentati soldati del regio esercito che fucilano civili sloveni

Saggi. «Fenomenologia di un martirologio mediatico» di Federico Tenca Montini, per le edizioni Kappa VU. La messa in scena della storia attraverso una serie di immagini e racconti

Quali processi comunicativi costruiscono una «narrazione» sostitutiva della storia? Come l’immaginario pubblico viene modellato e definito intorno a codici comunicativi empatici? Quale finalità politica sottende a una operazione di questa natura? A queste domande prova a rispondere un libro ben scritto da Federico Tenca Montini, dottorando presso l’Università di Teramo, che al netto di un titolo impegnativo, Fenomenologia di un martirologio mediatico. Le foibe nella rappresentazione pubblica dagli anni Novanta ad oggi, (Edizioni Kappa VU), presenta un testo agile che affronta in modo originale i processi di composizione del «discorso pubblico» sulla questione del confine orientale.

Senza soffermarsi troppo sui permanenti temi polemici di una vicenda largamente abitata da toni propagandistici, il saggio propone più piani comparativi come misura discorsiva del ragionamento storico e proprio attraverso questa chiave di lettura restituisce un’interpretazione complessiva del come si sia giunti agli avvitamenti di significato e senso dello storia cui abbiamo assistito nel decennio delle «giornate della memoria» in Italia.

Dai voti bipartisan in Parlamento alle fiction; dai discorsi celebrativi dei presidenti della Repubblica alle messe in scena teatrali; dalla retorica della memoria condivisa all’oblio della storia del fascismo tutto ha concorso da un lato alla semplificazione della grammatica pubblica (che sottrae a categorie di già complessa interpretazione come genocidio, pulizia etnica o discriminazione il loro tratto peculiare e distintivo) e dall’altro, all’affermazione di una lettura vittimaria della storia nazionale che ha trovato il suo punto di massima forzatura nella questione delle foibe e del confine orientale, da dove il ventennio mussoliniano è espunto e sostituito da una omissiva categoria di «italianità».

In questo modo si è progressivamente assistito a una continua e faticosa torsione che non ha mancato di fornire spunti, a volte gravi, altre grotteschi: celebre l’incidente diplomatico del 2007 tra l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il capo del governo croato Stipe Mesic all’indomani del primo intervento dell’ex comunista al Quirinale per la giornata del 10 febbraio; grave lo scambio di una foto più volte diffusa come «documento» delle violenze jugoslave in cui al contrario sono rappresentati soldati del regio esercito che fucilano civili sloveni, il più goffo episodio si registrò negli studi Rai della trasmissione di Bruno Vespa; surreale la sovrapposizione tra Shoah e foibe presentata da manifesti pubblici di diversi comuni (che il libro di Tenca Montini riproduce in appendice) che però serve a mostrare il significato dell’operazione mediatica ovvero l’assimilazione valoriale del conflitto fascismo/antifascismo declinato attorno al paradigma della condanna della violenza «da qualsiasi parte provenga e di qualsiasi colore sia».

La risultante visiva è stata la pianificazione di una messe di articoli, film-tv, pubblicistica varia e improbabili dibattiti televisivi che dal 2004, anno dell’istituzione per legge del «giorno del ricordo», ha investito il paese riuscendo però soltanto a comunicare dei messaggi senza mai informare realmente sui fatti, tanto che se soltanto il 6% dei maturandi scelse il tema di storia sulle foibe negli esami del 2010 più di un italiano su due dichiara di non conoscere le vicende delle foibe e dell’esodo. Se da un lato, tali scarni riscontri non rappresentano certamente una novità in termini di conoscenza della storia da parte degli italiani, dall’altro è l’assenza di un contesto narrativo completamente «raccontato» e «raccontabile» il fattore che sembra aver reso strutturalmente debole il radicamento nel senso comune del «martirologio mediatico».

L’impossibilità, vista la natura vittimistica della «operazione foibe», di ricostruire i crimini di guerra italiani nei Balcani e, più in generale, di porre il fascismo come perno del ragionamento storico ha rappresentato da sempre il vizio d’origine mai superato di una ricorrenza che già nella stessa definizione della data in cui viene celebrata (anniversario della firma del Trattato di Pace di Parigi del 1947) non nasconde la sua contraddizione implicita.
Tuttavia più che una contestazione di legittimità il lavoro di Tenca Montini, e questo appare il suo pregio maggiore, si configura come uno strumento molto utile per diffidare, decrittandola culturalmente, della costruzione mediatica del racconto del nostro passato.

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