Vendetta infinita. Mezzo secolo dopo i PM di Torino indagano Curcio

Brigate Rosse. La Procura di Torino indaga l’ex capo delle Br, Renato Curcio, per il concorso nell’omicidio di un carabiniere, morto nel conflitto a fuoco del 5 giugno 1975 in cui morì anche la moglie di Curcio, Mara Cagol

Brigate Rosse. La Procura di Torino indaga l’ex capo delle Br, Renato Curcio, per il concorso nell’omicidio di un carabiniere, morto nel conflitto a fuoco del 5 giugno 1975 in cui morì anche la moglie di Curcio, Mara Cagol

Renato Curcio, pm: “L’ex capo delle Br è indagato per omicidio”

C’è una direttiva pubblicata sul Giornale delle Brigate Rosse Lotta Armata per il Comunismo tra gli elementi che hanno portato la procura di Torino a indagare l’ex capo delle Br, Renato Curcio, per il concorso nell’omicidio del carabiniere Giovanni D’Alfonso, morto nel conflitto a fuoco del 5 giugno 1975 alla cascina Spiotta di Arzello, dove, durante un blitz che portò alla liberazione dell’imprenditore Vittorio Vallarino Gancia, rapito dalle Brigate rosse, morì anche la moglie di Curcio, Mara Cagol.

Renato Curcio indagato, ecco la sua verità

“Avendo ricevuto comunicazione di essere “indagato” in relazione ad un procedimento che riguarda i fatti avvenuti alla Cascina Spiotta di Arzello il 5 giugno del 1975 credo sia utile esporre con chiarezza la mia reale implicazione al riguardo, come peraltro ho già fatto anche nel 1993 nell’intervista concessa a Mario Scialoja e pubblicata nel libro ‘A viso aperto'”. Comincia così la memoria scritta, datata 18 febbraio 2023, che l’ex capo delle Br Renato Curcio ha consegnato ai pm di Torino che lo hanno indagato per il concorso nell’omicidio del carabiniere Giovanni D’Alfonso, morto nel conflitto a fuoco del 5 giugno 1975 alla cascina Spiotta di Arzello, dove, durante un blitz che portò alla liberazione dell’imprenditore Vittorio Vallarino Gangia, rapito dalle Brigate rosse, morì anche la moglie di Curcio, Mara Cagol.

“Al tempo dei fatti in questione – ricostruisce Curcio – ero da pochi mesi evaso dal carcere di Casale Monferrato in seguito ad una azione condotta da un gruppo armato inter-colonne delle Brigate Rosse. Azione per la quale sono già stato condannato e che dunque non penso possa riguardare quest’indagine. Ritengo tuttavia utile ricordarla poiché avvenne il 18 febbraio del 1975, vale a dire 48 anni or sono, ma da essa presero avvio le vicende inerenti all’indagine che è meglio chiarire”.

“Per oltre un mese rimasi riparato in un piccolo appartamento della Liguria in attesa che sbollissero le acque, come ho raccontato nel libro citato. All’inizio di aprile si pose però il problema di una ripresa della mia militanza attiva e di una sistemazione più stabile. E questo non poteva avvenire in Piemonte, a Torino, dove a partire dal luglio del 1972 avevo contribuito a costruire la Colonna e dove, inoltre, il giorno 8 settembre del 1974 nel pinerolese ero stato arrestato. Con Margherita valutammo così che fosse più sensato un mio spostamento a Milano benché questo comportasse un qualche allontanamento tra noi. Ritenni comunque di non dover entrare neanche nei ranghi della Colonna milanese per non mettere a repentaglio la sua sicurezza preferendo invece dedicarmi a una nuova tessitura di rapporti in ambienti sociali diversi rispetto a quelli che avevo conosciuto e assiduamente frequentato tra il 1969 e il 1972”.

“In quel periodo non partecipai dunque ad alcuna loro campagna operativa ma venni invitato ad un solo incontro di discussione tra Margherita per la Colonna di Torino, e Mario Moretti, per quella di Milano, che si era reso opportuno poiché nell’organizzazione stava circolando tra i militanti l’idea di aggiungere agli espropri di banche anche eventuali sequestri di banchieri o comunque di persone facoltose. In quell’incontro, in piena ortodossia brigatista, non si discussero azioni specifiche da compiere – anche se, genericamente, se ne ventilarono alcune – ma si concluse che sarebbero state le singole le Colonne a valutare in proprio i pro e i contro, e a decidere in piena autonomia cosa sarebbe stato meglio fare per ciascuna di esse”.

Per quanto attiene la decisione della Colonna torinese di mettere in opera il sequestro di Vallarino Gancia non conosco alcun particolare specifico poiché, come ho detto, non essendo interno alla Colonna torinese venni tenuto accuratamente all’oscuro della discussione che portò alla sua progettazione operativa, alla sua messa in opera e delle modalità in cui avrebbe dovuto svolgersi. A ridosso del 4 giugno 1975 tuttavia incontrai, come periodicamente accadeva, Margherita. In quell’occasione fu lei a dirmi che i nostri già radi incontri diretti sarebbero stati temporaneamente sospesi per qualche tempo poiché la Colonna torinese sarebbe stata impegnata in una azione a cui lei stessa avrebbe preso parte”.

“Comunque, in uno degli appuntamenti settimanali di sicurezza che seguirono mi venne riferito che il compagno fuggito dalla cascina Spiotta dopo il conflitto a fuoco desiderava incontrarmi per raccontarmi in prima persona quanto era accaduto. In un primo tempo, non conoscendolo preferii non incontrario. In un secondo tempo, tuttavia, dopo aver letto la sua relazione ampiamente circolata nelle varie Colonne, decisi – nonostante il rischio – di farlo per conoscere meglio alcuni dettagli relativi agli ultimi confusi minuti della vita di Margherita. Questo incontro si svolse in una località turistica verso la fine di giugno. Non avevo mai visto prima la persona che si presentò e mai più la rividi in seguito. Era un uomo assai afflitto per il ‘guaio’ che era successo e oltremodo turbato per gli errori compiuti e per le morti che ne erano derivate. Lo ascoltai in silenzio. Anche di quell’incontro comunque ho fatto un cenno trent’anni fa nel libro ‘A viso aperto'”.

Fonte: ADNKronos

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