Scritture operaie ritrovate e mai pacificate. Un’antologia

«L’esperienza genovese 1970-2020» in un volume per Archimovi, l’archivio dei movimenti di Genova

«L’esperienza genovese 1970-2020» in un volume per Archimovi, l’archivio dei movimenti di Genova

 

Scriveva qualche tempo fa Judith Schalanski che la storia dovrebbe essere raccontata partendo dai margini, dalle interruzioni nella tradizione, lo spazio bianco nei libri di storia. Perché «nella realtà dei fatti, ciò che è al margine è il centro del mondo».

LA GRANDE RIVOLTA SOCIALE e politica per la dignità di chi lavorava nelle fabbriche e per un altro mondo tutt’altro che impossibile, come faceva credere chi manovrava le leve del potere è, oggi, un paradigma pressoché perfetto di quanto segnalato della grande scrittrice. Un’altra storia è possibile, lo spazio bianco si infittisce di segni d’inchiostro, il margine ridiventa centro coerente e comprensibile se a impugnare la penna sono i protagonisti stessi di quella rivolta degli anni ’60 e ’70 del Novecento che inventò le «parole per dirlo».

La scrittura operaia. Non di chi scriveva «sugli» operai, magari con volponiana pertinenza di tratto e disamina asciutta. Scrittura operaia binariamente declinata su due assunti che oggi ci rivendono, nella deriva reazionaria che ci asfissia, come pericolosi slogan estremisti: liberare il lavoro, in un caso, liberarsi dal lavoro, nel secondo. A volte con una mediazione cercata e trovata tra le due condizioni.

L’archivio dei movimenti di Genova, Archimovi, da diversi anni tiene accesa la luce dell’interesse per quel margine del mondo che voleva farsi mondo intero, l’onda di rivolta e di lotte di vent’anni cruciali del secondo dopoguerra. Dopo diverse pubblicazioni dedicate, tra l’altro, agli aspetti iconografici dei movimenti, alla fotografia militante, al G8, mostre, incontri, filmati, seminari, Archimovi adesso pubblica Scritture operaie / L’esperienza genovese 1970-2020 (pp. 308, euro 30). Focus sugli scrittori operai nella Genova delle grandi fabbriche che furono: Pippo Carrubba, Francesco Currà, Vincenzo Guerrazzi, Giuliano Naria. Esperienze che travalicano anche la pura scrittura, perché (ed è ben documentato nella sezione fotografica) gli operai scrittori spesso sapevano anche impugnare i pennelli, e la musica filtrava in testa anche nelle officine assediate dal rumore.

LA SCRITTURA OPERAIA, però, che condusse perfino alla fondazione di una casa editrice di scritture operaie, la Ciminiera di Guerrazzi, è nucleo forte e a tutt’oggi proficuamente disturbante: eccessiva, franta espressionisticamente di necessità come il caotico rumore delle macchine in fabbrica, desiderante, sapientemente volgare e contropelo rispetto alle «buone maniere» letterarie e ai codici garbati, perfino quelli delle avanguardie. È una scrittura «intona-rumori» nei fatti, e fanno rumore anche le coscienze offese, altro che l’estetizzazione futuristica di un macchinismo tutto mentale, mai sperimentato sulla carne alla catena di montaggio. Tant’è che uno di questi scrittori operai, Francesco Currà, osò addirittura incidere un disco, Rapsodia Meccanica, usando come base strumentale la disarmonica, aggressiva sinfonia dei rumori delle macchine di fabbrica.

Circa metà libro è un’antologia di testi operai degli autori citati difficili da reperire, la parte storica, con efficace contestualizzazione del «caso genovese» nelle scritture operaie di tutto il Vecchio continente, è curata collettaneamente da Giuliano Galletta, Marco Codebò, Giorgio Moroni, Marino Fermo, Ignazio Pizzo, Rosella Simone, Antonio Gibelli, Claudio Gambaro, Stefano Bigazzi, Giovanna Lo Monaco, Sandro Ricaldone, Augusta Molinari, Liliana Lanzardo.

SFORZO COLLETTIVO che potrà riaccendere uno sguardo sul presente, riascoltando chi riuscì a trovare le parole per dirlo in un’altra epoca: il mondo non è cambiato in meglio, per gli operai.

* Fonte/autore: Guido Festinese, il manifesto

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