Morto Stefano Delle Chiaie, il “grande vecchio” con la fissa del colpo di Stato

Dal Msi ad Avanguardia nazionale, il «grande vecchio» della strategia della tensione. Legato al regime dei colonnelli greci, fu assolto per le stragi di piazza Fontana e Bologna

Con Stefano Delle Chiaie scompare l’ultimo «grande vecchio» del neofascismo italiano. Nato nel 1936 a Caserta, figlio di un partecipante alla «Marcia su Roma», ha attraversato tutta la stagione dell’eversione nera del dopoguerra. Attivo fin dai primi anni Cinquanta, si iscrisse all’Msi a soli 14 anni, fu più volte arrestato per apologia di fascismo e violenze. Ricordò lui stesso con orgoglio l’assalto nel marzo del 1955 alla sede del Partito comunista in via delle Botteghe Oscure.

Il suo nome è indissolubilmente legato alla storia di Avanguardia nazionale, la sua creatura, fondata nel 1960, non casualmente il 25 aprile, in una sede a Roma di reduci repubblichini. Il gruppo nacque per scissione da Ordine nuovo di Pino Rauti, accusato di pensare eccessivamente all’elaborazione teorica. Da qui il ricorso pieno allo squadrismo che caratterizzò più di ogni altra cosa Avanguardia nazionale (simbolo la runa dell’Odal, utilizzata da una divisione delle Waffen-SS). Fu anche costretta formalmente a sciogliersi nel 1965 per evitare le conseguenze delle innumerevoli denunce a carico dei suoi aderenti. Grande emozione, in questo contesto, suscitò il 27 aprile 1966 a Roma la morte dello studente socialista Paolo Rossi, precipitato da una scalinata a seguito dei durissimi scontri provocati dai picchiatori di Delle Chiaie davanti alla facoltà di Lettere.

IL LEGAME CON L’UFFICIO AFFARI RISERVATI

Soprannominato «Caccola» per via della sua bassa statura, Stefano Delle Chiaie partecipò al famoso convegno del maggio 1965 all’Hotel Parco dei Principi, promosso dal Sifar (il servizio segreto militare), in cui si posero le premesse della «strategia della tensione», mettendo Avanguardia nazionale al servizio dell’Ufficio affari riservati. Un legame organico che portò i suoi uomini a rendersi protagonisti di sistematiche provocazioni, tra le altre un vasto piano di infiltrazioni a sinistra per spingere gruppi e singoli ad azioni violente. In questo quadro An si interfacciò con le cellule venete di Ordine nuovo, lo stesso Delle Chiaie incontrò più volte Franco Freda, ricoprendo un ruolo centrale nelle vicende del 12 dicembre 1969. Fu, infatti, come raccontato da alcuni ex, un commando di Avanguardia nazionale a compiere i tre attentati a Roma (due all’Altare della Patria e uno alla Banca nazionale del lavoro) in contemporanea con la strage in piazza Fontana.

L’organizzazione, riformatasi alla luce del sole nel 1970, venne definitivamente sciolta per legge nel giugno del 1976 come ricostituzione del partito fascista.

CON JUNIO VALERIO BORGHESE E OLTRE

Filo-golpista e ammiratore del regime dei colonnelli in Grecia, Stefano Delle Chiaie si legò a Guérin Sérac, capo dell’Aginter Presse, una sorta di agenzia per i «lavori sporchi» collegata alla Cia, ma soprattutto al «Principe nero» Junio Valerio Borghese, con cui architettò il tentativo di colpo di Stato della notte del 7-8 dicembre 1970, con l’occupazione temporanea del ministero dell’Interno, prima del rompete le righe. Resosi latitante nel 1970 per sfuggire a un mandato di cattura nell’ambito delle indagini su piazza Fontana, Delle Chiaie, si pose, unitamente ad altri di Avanguardia nazionale, al servizio prima dei franchisti spagnoli, poi del regime cileno di Pinochet, infine dei generali golpisti boliviani. In quegli anni ebbe modo di farsi fotografare il 9 maggio 1976 a Montejurra, nella Navarra, nel corso dell’agguato armato, che causò due morti, nei confronti di un corteo promosso dai seguaci antifranchisti di Carlos Hugo, ma anche di organizzare il tentato omicidio di Bernardo Leighton (l’ex vicepresidente di Allende) e di sua moglie, il 6 ottobre 1975 a Roma. Purtroppo le prove arrivarono solo dopo il processo, tenutosi nel 1987, in cui Delle Chiaie fu assolto. In compenso nel luglio 1980 partecipò in Bolivia al cosiddetto «golpe della cocaina», portando al potere Luis Garcia Meza Tejada, con l’aiuto di neonazisti di vari paesi (tra loro anche il criminale di guerra Klaus Barbie) e di gruppi paramilitari che si occuparono di eliminare i piccoli narcotrafficanti per poter giungere al controllo totale del mercato.

L’AQUILA E IL CONDOR

Arrestato nel 1987 a Caracas, fu processato per la stragi di piazza Fontana e alla stazione di Bologna. Assolto in ambedue i processi, tentò nuovamente nei primi anni Novanta l’avventura politica con piccole formazioni come Alternativa nazional popolare, che raccolse i vecchi camerati di Avanguardia nazionale, senza alcun successo. Da tre anni aveva ricostituito il sodalizio, pur illegale, di Avanguardia nazionale, aprendo una sede anche a Roma. Nel 2012 aveva dato alle stampe la sua autobiografia L’aquila e il condor, piena di omissioni e fatti ricostruiti al limite della pura invenzione. Una sorta di contro-storia da tramandare alle nuove leve.

* Fonte: Saverio Ferrari,  il manifesto

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